La partita alle urne sarà serratissima: Harris propone giustizia sociale e di genere; il trumpismo è la religione degli haters
Guerra civile? Non sono in pochi oggi a paventare il rischio di una violenta implosione del Paese all’indomani di una delle tornate elettorali più infuocate della storia. I cortigiani dell’ex presidente già denunciano brogli... a venire. Attaccare, insultare, rivendicare la vittoria anche quando si perde, gli aveva suggerito in gioventù il suo mentore: da tempo Trump ha fatto suo il vangelo secondo l’avvocato Roy Cohn.
La polarizzazione della politica trae origine negli anni 60 del secolo scorso quando, sotto Lyndon Johnson, le riforme che diedero i diritti civili ai neri condussero ampi settori dell’elettorato sudista bianco ad abbandonare il Partito democratico. Da allora si è assistito a un progressivo spostamento dei repubblicani su posizioni conservatrici. Oggi il Grand Old Party abbraccia un’ideologia estremista che farebbe sembrare timorate diverse formazioni dell’ultradestra europea. Alcuni storici come Robert Paxton non esitano a parlare di tendenze fasciste, e così pure diversi ex collaboratori del tycoon come l’allora capo del suo staff John Kelly o il ministro della Difesa Mark Esper. Atteggiamento dittatoriale, disprezzo per istituzioni e opposizioni, xenofobia, convinzione di una superiorità naturale di alcune categorie sociali o razziali. Un “conman”, truffatore, ma anche un “bugiardo, squilibrato, razzista, volgare, predatore e golpista” stando al suo ex avvocato Michael Cohen. Eppure Trump potrebbe diventare il secondo ex presidente della storia (il primo fu Grover Cleveland nel 1892) a essere rieletto dopo un fallimento elettorale. Non piace solo al nostro Albert Rösti, ma anche a una buona fetta di americani.
Il trumpismo è la religione degli “haters”: a Kamala non si perdona nulla, a Donald si concede tutto. Quando simula un “blow job” (sesso orale) col microfono, gli evangelicali moralisti ultras di Dio voltano lo sguardo altrove. Le ragioni del successo? Il declino culturale di una nazione affamata di soluzioni sbrigative, disinformata, colpita da amnesia. Ma non basta. Perché non si possono ignorare le mancanze dei democratici, che agli occhi di molti “Hillbilly”, i bianchi meno agiati, sono associati alle élite urbane, sensibili a questioni Lgbtq+, insensibili alla loro quotidianità. Durante il mandato di Trump 2017-2021 sono state abbassate le imposte, vi è stata crescita senza inflazione, è stata frenata l’immigrazione. Il bilancio economico non è certamente catastrofico. Una parte importante del Paese voterà in base al “cost at the grocery store”, i prezzi degli alimentari gonfiati dalla forte inflazione, ignorando i successi di Biden (energie rinnovabili, reindustrializzazione, disoccupazione ai minimi storici).
La partita domani alle urne sarà serratissima. Ogni previsione è azzardata. Kamala Harris propone giustizia sociale e di genere, un capitalismo distributivo dal “volto umano”. Dovesse tornare alla Casa Bianca Trump – scrive l’americanista Sylvie Laurent – faremmo idealmente un bel balzo indietro nella storia, a prima del 1776, anno della Rivoluzione americana e dello Stato di diritto, e singolarmente anche della pubblicazione della bibbia del liberalismo (‘La Ricchezza delle nazioni’ di Adam Smith) e pure di ‘Storia della decadenza e caduta dell’Impero romano’, testo di grande attualità in cui lo storico Edward Gibbon così sintetizzava le ragioni della fine della potenza imperiale: sovraestensione territoriale, declino del parlamento (senato), povertà culturale.