Salari bassi, occupazioni precarie, frontalierato in aumento. Un mercato che favorisce la fuga dei cervelli ticinesi. La soluzione: creare posti ‘sani’
La fame è fame e spinge le persone a spostarsi in cerca di un salario dignitoso ed una vita migliore. Luigi, 36 anni, quattro figli e il quinto in arrivo, in Italia doveva sbarcare il lunario con un salario (se tale si può chiamare!) di 5 euro all'ora. Un lavoro su chiamata come guardia giurata: più ore, più soldi. Ha fatto i bagagli come tantissimi suoi connazionali per cercare miglior fortuna in Ticino. Da qualche anno, Luigi vive a Morbio Inferiore e lavora per un'agenzia di sicurezza a Lugano. Sempre pagato a ore, sempre precario (a Salerno come a Lugano!), ma almeno incassa un salario che gli permette di mantenere la famiglia. La pandemia gli ha scombinato tutti i piani: avere un contratto, un permesso di lavoro, un futuro in Ticino. Per far mangiare la sua famiglia, Luigi ora a causa della pandemia fa la fila a Tavolino Magico per una ricca spesa. Coi soldi risparmiati ci spiega (a pag 2 e 3) paga qualche fattura scoperta. Lui e la moglie non si scoraggiano, in un qualche modo si farà! Anche grazie ai vari sussidi (ad esempio per la cassa malati) che trova in Ticino.
Ma intanto quello che è l’eldorado per molti, sta diventando un deserto per i locali. In Ticino l’occupazione è sempre più precaria, cresce la cultura dell’impiego temporaneo e intermittente, stage infiniti e mai pagati, salari improponibili. Questo imbarbarimento del mercato sta obbligando ogni anno 8mila giovani ticinesi formati ad emigrare verso cantoni con posti di lavoro qualificati e salari adeguati. Troppi cervelli in fuga! Giovani molto preparati che, partendo, indeboliscono il potenziale economico del Cantone, perdiamo creatività, capacità manageriali, contributi culturali, per non pensare ai costi universitari supportati dal Cantone e ‘regalati’ ad altri Cantoni o nazioni. In Ticino questi giovani non trovano posti decenti anche per la presenza sempre più massiccia di manodopera frontaliera, che aumenta e aumenta ancora: sono 70mila ormai i pendolari del lavoro, rappresentano il 28,4 % degli occupati (quasi un lavoratore su tre), molti attivi nel terziario (il 65%). In Ticino ormai ci sono più lavoratori stranieri che svizzeri (erano 47,9% nel 2019). Il meccanismo è perverso: da un parte i frontalieri (col fenomeno crescente di sostituzione della manodopera indigena) abbassano il livello dei salari e spendono la paga guadagnata altrove. Alla fine, la nostra economia interna ne risente doppiamente. Dall'altra parte le aziende guadagnano assumendoli e pagandoli di meno e lo Stato (quindi il Ticino che crea alle aziende le condizioni quadro per insediarsi e magari pagare meno imposte) deve pagare i disoccupati.
Dinamiche assurde, tra chi guadagna e chi perde, tra chi arriva in massa e chi è obbligato a partire, che la crisi sta ora accentuando, in un Ticino che fa molta fatica: 4mila posti di lavoro persi nel 2020. Donne e indipendenti i più colpiti. Persone che un salario se lo sudavano. E quando gli aiuti statali anti-crisi saranno esauriti, che faranno le aziende, licenzieranno?
L’economista Marazzi si aspetta piani di razionalizzazione, riduzione di costi e personale. Altri sacrifici e altri cervelli in fuga a meno che non si intervenga subito sul livello dei salari e con la creazione di sbocchi occupazionali di qualità in un Ticino, indebolito dalla pandemia e dalla contrazione del settore finanziario. I mezzi ci sono, occorre scegliere quale modello di sviluppo seguire tra politiche di austerità o investimenti lungimiranti per sostenere lo stato sociale e creare posti di lavoro sani e sicuri, che non siano su chiamata, temporanei, intermittenti. Magari pensando ad una forma di tassa per chi assume oltre una certa quota di frontalieri. Perché no? I soldi incassati andrebbero a sostenere nuovi posti ad esempio nella farmaceutica, nella ricerca, nel turismo. Due economisti, uno di sinistra (Christian Marazzi) e uno di destra (il presidente Udc nazionale Marco Chiesa) sono arrivati alla stessa conclusione: occorre creare nuovi posti di lavoro a valore aggiunto mentre si formano competenze locali nei residenti.