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Hai voglia a non chiamarli ‘i negazionisti del coronavirus’

Gli ‘Amici della costituzione’ scrivono al Consiglio di Stato contro le mascherine. E dobbiamo avere il coraggio di chiamarli negazionisti

Manifestazione “no-mask” a Ginevra il 12 settembre 2020 (Keystone)
29 gennaio 2021
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Non piace neanche a me, l’epiteto “negazionista” attribuito a chi dubita delle scelte politiche per contrastare la pandemia o di aspetti medici e scientifici. Definire “negazionista” chi protesta per restrizioni giudicate inappropriate o chiede conto dell’efficacia e della sicurezza di un trattamento è un modo per togliere legittimità all’interlocutore, per non affrontare la discussione. Una scelta retorica ancora di più inaccettabile in questo periodo dell’anno, con la Giornata delle memoria che ci ricorda l’indicibile tragedia che i negazionisti, quelli veri, non accettano.

Chiamare “negazionista” chi ha idee che non corrispondono a quelle comunemente accettate è un errore, perché il dubbio, e la libertà di esprimerlo, sono alla base tanto della scienza quanto della politica. Tuttavia ci sono delle situazioni in cui il termine risulta perfettamente appropriato: non un modo per sminuire dubbi legittimi, ma la precisa definizione di un atteggiamento prima ancora che di una tesi. E il parallelismo con i negazionisti dell’Olocausto cessa di essere una forzatura e diventa una giustificata estensione del concetto. Ne costituisce, purtroppo, un buon esempio una recente lettera aperta che il gruppo “Amici della costituzione“ ha indirizzato al consiglio di Stato per criticare l’imposizione delle mascherine quale strumento di contrasto alla pandemia. Non si vuole, qui, difendere quest’obbligo o ridicolizzare i disagi che questo comporta: la legittimità di questa limitazione della libertà e l’utilità effettiva delle mascherine non sono verità scolpite nella pietra ed è giusto che il tema non sia sottratto al dibattito. Il problema, come purtroppo capita sempre più spesso, è quali argomenti si vogliono portare a questo dibattito.
La lettera degli Amici della costituzione è chiaramente e platealmente negazionista. Gli autori, infatti, non solo criticano le politiche sanitarie o l’affidabilità dei test molecolari, ma sostengono esplicitamente l’inesistenza del nuovo coronavirus (“presunto virus che è presunta causa del Covid-19”, “non esiste un virus isolato che dimostri causare il Covid19”). E SARS-CoV-2 si trova del resto in buona compagnia: leggendo il testo scopriamo che anche il virus dell’Hiv non esisterebbe o quantomeno non causerebbe l’Aids e forse persino l’influenza stagionale non sarebbe questione di virus ma di onde radio (nonostante vi siano resoconti di epidemie influenzali almeno dal Cinquecento e forse addirittura nell’Antichità).

Ma la lettera degli Amici della costituzione è negazionista non solo per i contenuti: è lo stile argomentativo che ricorda molto i negazionisti dell’Olocausto. Riassumendo l’interessante lavoro della semiologa Valentina Pisanty (‘L’irritante questione delle camere a gas: logica del negazionismo’, Bompiani): la sistematica distorsione dei documenti e delle testimonianze; l’accentuazione di tutti gli errori, le ambiguità e le sbavature nei documenti; l’invenzione di anomalie inesistenti; l’equiparazione di errori e menzogne; l’accenno ai moventi degli impostori. O, come ha efficacemente scritto Primo Levi riferendosi ai pretestuosi dubbi sull’autenticità del diario di Anna Frank: “Trovare una screpolatura, infilarci una lama e far leva; non si sa mai, potrebbe anche crollare l’edificio, per quanto robusto”.

Gli esempi, nella trentina di pagine della lettera, non mancano. Gli aggiornamenti delle raccomandazioni diventano segno di qualcosa di losco; uno studio che raccomanda, quando si indossa la mascherina al chiuso, di aerare bene i locali e riconduce la sensazione di disagio all’aumento di temperatura e umidità nella zona coperta diventa la prova che indossando la mascherina si rischia l’asfissia; e così via.

Possiamo quindi tranquillamente affermare che gli Amici della costituzione sono negazionisti. E probabilmente dobbiamo farlo: non certo per impedir loro di parlare – l’introduzione del reato di negazionismo è del resto delicata anche a proposito dell’Olocausto –, ma per valutare con cognizione di causa quali voci ascoltare e quali invece ignorare, nel doveroso dibattito su come affrontare la pandemia.