Risse, mancato rispetto delle misure anti Covid: abbiamo puntato il dito contro i giovani. Ma il nostro riscatto è nelle loro grandi e preziose risorse
Che bella gioventù! Una quindicina di ragazzi, fra i 16 e i 18 anni, commossi e dignitosamente uniti nel dolore per l’amico e compagno di squadra, onorato con la casacca del proprio team, con cori personalizzati e con uno striscione. Una presenza fondamentale, di supporto a una famiglia in un momento di grande dolore. Questa l’immagine che più ci rimarrà impressa del toccante funerale del 17enne morto in un incidente di moto sabato scorso a Soragno. Una cerimonia che abbiamo scelto discretamente di seguire – e di cui abbiamo riferito – in quanto spaccato positivo di una generazione della quale troppe volte negli ultimi mesi abbiamo purtroppo parlato in termini negativi e che merita invece un supporto e delle lodi.
Troppe volte quest’anno e in quelli precedenti abbiamo dovuto riferire di risse giovanili, di ‘baby gang’ come ci siamo trovati a chiamarle, forse in maniera inappropriata e per una non sempre corretta comodità giornalistica e comunicativa. L’abbiamo detto, la nostra soglia della tolleranza nei confronti della violenza sta fortunatamente diminuendo. Come società non accettiamo più le ‘scazzottate’, le aggressioni verbali, il bullismo nelle sue varie forme, gli episodi di violenza più gravi basati su discriminazioni di tutti i tipi: di genere, legata al colore della pelle o alla nazionalità, all’orientamento sessuale o alla confessione religiosa. Essere più 'intolleranti' in questo senso lo riteniamo una forma di incivilimento.
Ma siamo anche nel 2020, anno che non dimenticheremo mai perché contrassegnato dalla pandemia da Covid-19. Anno che sta mettendo a dura prova la nostra resistenza, il nostro vivere assieme, i nostri nervi e la nostra capacità di raziocinio. Siamo così arrivati, in particolar modo durante i mesi estivi e autunnali, a puntare di nuovo il dito contro i nostri giovani. Non per le risse stavolta, ma perché erano loro il vettore principale del virus, erano loro a non rispettare le misure di contenimento del contagio, erano loro a comportarsi in maniera irresponsabile. I giovani, con il loro innato desiderio di socializzare, di vivere, ma anche di trasgredire le regole, sono diventati il capro espiatorio di una società impreparata a gestire un’emergenza come questa.
Certo, hanno sbagliato. Si sbaglia. Lo facciamo noi adulti, sarebbe assurdo pensare che non lo facciano delle personalità ancora in formazione. Chi sbaglia va ripreso, anche per evitare che un errore diventi il primo di una serie o, nei casi peggiori, ricada nel penale. Ma l’errore è insito in tutti noi, fa parte del nostro percorso di crescita e non si limita certo soltanto all’adolescenza. E non dimentichiamo che oltre agli errori c’è molto di più. È forse paradossale che siano eventi toccanti ma tristi come i funerali a ricordarcelo. Oltre a quello odierno anche quello del giovane Lucas Portmann, pure tragicamente scomparso un mese fa nel Luganese. Abbiamo visto giovani uniti dallo sport, dalla musica, da altre passioni. Ma soprattutto dall’amore per gli amici, per la famiglia. Ragazzi mossi da emozioni profonde. Una gioventù che ha le risorse per reagire a un anno che nessuno meritava, che ha le risorse per capire cosa è giusto e cosa no, che ha le risorse per contribuire a costruire un futuro migliore. Sta anche a noi però intercettare la loro energia così preziosa in questo periodo ed essere in grado di riconoscerla e indirizzarla affinché si esprima in modo costruttivo per la collettività.