I maltrattamenti e gli abusi sui bambini cercano ancora, soprattutto in Svizzera, una chiara giurisprudenza
Era il 1991 quando la Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia (Aspi), con sede a Breganzona, prese vita – su iniziativa del medico pediatra Amilcare Tonella – al grido di ‘violenza zero’. Oggi, però, a quasi trent’anni da quel giorno, gli abusi e i maltrattamenti sui minori restano, purtroppo, una piaga aperta in tutto il mondo, Svizzera e Ticino compresi. A pesare soprattutto la mancanza di una legge chiara che metta al bando ogni forma di sopruso sui bambini, a cominciare dagli schiaffi e dalle sculacciate, utilizzati – è l’assurda motivazione che si sente spesso evocare – quale ‘metodo educativo’. Un buco normativo a più riprese segnalato dalle stesse Nazioni Unite che in quest’ambito non hanno mancato di criticare la Confederazione per le sue carenze giuridiche.
Myriam Caranzano Maître, la direttrice che dopo oltre vent’anni lascia le redini dell’Aspi, e che intervistiamo a pagina 9, ci insegna, invece, con parole semplici ma dirette che «chi usa violenza insegna violenza». Troppo spesso, ancora oggi, nel terzo millennio, la violenza riversata sui bambini (anche piccolissimi) è spesso giustificata, condizionata da un sentimento nell’adulto accolto dai ‘più grandi’ come giusta scusa (la stanchezza, le preoccupazioni, la pazienza portata al limite ‘dai più piccoli’). Ancora oggi, troppo spesso, manca nell’educatore (dal papà alla mamma, dal maestro all’allenatore) la consapevolezza che ‘pugno chiama pugno’, e dolore altrettanto dolore. Chi nella propria infanzia ha subìto violenze – lo attestano numerose ricerche – più spesso è e sarà portato, crescendo, a ripeterle. E non si tratta di abusi esclusivamente sessuali (l’unico nella nostra società attualmente riconosciuto come vera e propria violenza), ma di pressioni psicologiche, trascuratezza, disinteresse nei bisogni primari del bambino, forme diverse di maltrattamento ma altrettanto pericolose per un sano sviluppo, mentale e fisico, del minore. Ferite, nella maggior parte dei casi, che non si potranno mai rimarginare e che il bambino si porterà dentro per tutta la vita, se solo deciderà di viverla.
E chi è più chiamato a portarsi una mano sul cuore e a farsi paladino della ‘non violenza’ verso i minori siamo proprio noi adulti, noi genitori. Accanto certamente alle altre istituzioni facenti parte della nostra società, dalla scuola alla Chiesa alle organizzazioni sportive, ludiche, associative e ricreative. Perché se è sorprendente che, secondo un recente studio (Optimus 2018), direttori e insegnanti in Svizzera raramente si rivolgono alle autorità competenti in materia di protezione dei minori, e religiosi si macchiano di gravi peccati, le stesse famiglie sono spesso ‘vittime’ di omertà o vergogna. Molto si può, dunque, fare per contrastare i maltrattamenti e gli abusi sui bambini, ma molto di più – ben ce lo dice la dottoressa Caranzano – possiamo fare per il ‘buon trattamento’. Solo così potremo definirci una società moderna (nel senso buono del termine), dove nello ‘scontro generazionale’ (che comunque può e deve esserci nella naturale crescita di un bambino) al posto della cinghia si facciano largo il dialogo e l’ascolto di chi minore resta, ma non nei diritti.