Si apre domani un’edizione insolita, di emergenza, del festival del film. Aspettando tempi migliori: per Locarno e per il cinema
Sarebbe dovuta essere l’edizione numero 73. Ma quella che si aprirà domani sera al GranRex sarà un’edizione insolita, del festival del film, e insolito è anche il nome scelto: non Locarno73, ma Locarno2020, anzi “Locarno2020 for the future of films”, nella speranza che questo festival oltre che insolito sia anche eccezionale. Che si possa ritornare alla normalità.
Le cause sono note: la pandemia di nuovo coronavirus, le limitazioni decise dalle autorità che, per tutelare la salute pubblica, non solo hanno reso impossibile quel grande evento che è il festival come lo abbiamo conosciuto finora, ma hanno anche fermato l’apparentemente inarrestabile industria cinematografica mondiale, dalle grandi produzioni al cinema indipendente. Il risultato, per il festival, è riassumibile in quell’assenza che si vede camminando dalla stazione di Locarno al Palacinema: quei dieci minuti a piedi che si percorrono ogni anno per le tradizionali interviste prefestivaliere – come quella alla direttrice artistica Lili Hinstin –, tra stand, tappeti rossi, transenne, sedie gialle e nere, locandine, il maxischermo in Piazza Grande.
Locarno2020 non ha le proiezioni in piazza, non ha film in Concorso, non ha la Retrospettiva – che quest’anno avrebbe dovuto essere dedicata per la prima volta a una regista, la giapponese Kinuyo Tanaka –, non ha la Rotonda, non ha tutte quelle cose che componevano la “Locarno Experience”, come negli ultimi anni è stata chiamata. La chiave per comprendere Locarno2020 è probabilmente questa: non è che in mancanza di eventi in presenza si è semplicemente ragionato su come organizzare proiezioni e incontri online; piuttosto, mancando “l’esperienza Locarno”, si è andati all’essenza, si è cercato di capire qual è l’anima del festival e come incarnarla in un corpo adatto ai tempi eccezionali di questo 2020 pandemico.
Qual è il senso di un festival del film come Locarno? Ognuno – dal fedele festivaliere al semplice curioso fino a direttori e presidente – avrà la sua risposta. La mia è: permettere al pubblico di scoprire il cinema d’autore o, guardandola dall’altro punto di vista, aiutare il cinema d’autore a trovare il suo pubblico. Se guardiamo alle molte e interessanti iniziative di questa insolita, parte in presenza parte in digitale, edizione del festival di Locarno, vediamo che questa essenza è mantenuta. Anzi, forse è addirittura aumentata, se pensiamo che – senza film in concorso e in piazza e grazie a una maggiore presenza online – probabilmente ci sarà un pubblico più eterogeneo a seguire sezioni “non mainstream” come Pardi di domani e Open Doors.
Rimane il fatto che Locarno2020 è un festival di emergenza: non tanto per il poco tempo in cui è stato organizzato – la decisione del Consiglio federale di mantenere il limite di mille persone per gli eventi è di fine aprile –, ma perché nel mondo chiuso e ristretto che le misure sanitarie stanno disegnando non c’è spazio per i festival cinematografici. Un’edizione insolita la si può sopportare, forse anche due; di più, sarebbe la fine di un sistema. Il timore non è solo per il futuro del festival di Locarno, ma anche per una certa idea di cinema che faticava già prima della pandemia e che merita di essere preservata.