Il direttore artistico Giona Nazzaro ci parla del regista Alberto Lattuada. Con il direttore operativo Raphaël Brunschwig vediamo invece come ci si prepara a un’edizione ibrida
Alberto Lattuada: sarà l’eclettico regista con i suoi 40 anni di storia del cinema italiano il protagonista della retrospettiva di Locarno74. Il neodirettore artistico Giona Nazzaro presenta così il primo tassello del suo Locarno film festival, ma subito invita a non considerarlo un manifesto: «Il cinema italiano è ovviamente un tema al quale tengo in modo particolare ma è anche molto amato dal pubblico di Locarno e la storia del festival è intrecciata con la storia del cinema italiano. Ma non vorrei che questa scelta venisse letta come un programma. Lattuada è un autore di portata internazionale, con una statura anche all’interno del cinema europeo. Se vogliamo indicare nella scelta di Lattuada un elemento programmatico, direi che è quello di andare nella direzione di un cinema popolare, colto, aperto al dialogo con il pubblico e mai populista».
Perché quindi Lattuada?
Lattuada lo abbiamo riscoperto grazie ad alcuni suoi film restaurati nella retrospettiva Titanus. Quei film avevano suscitato una grande curiosità: tra il pubblico non italiano, soprattutto, ma anche tra quello italiano che si era trovato di fronte a un regista stranamente dimenticato.
La retrospettiva Titanus è stata uno dei grandi successi del festival di Locarno e quindi la scelta di Lattuada era in un certo senso “obbligata”.
Cosa lo contraddistingue?
Ha lavorato con tutti i più grandi attori italiani, ha attraversato la storia del cinema italiano dalle origini alla fine degli anni Ottanta, è stato il fondatore della Cineteca italiana di Milano, un intellettuale di spessore, un attento lettore di classici, russi in particolari, con uno sguardo molto americano. Uno dei più grandi modernisti del cinema italiano, sempre controcorrente, sempre critico e innovativo. Uno dei grandi autori che non si sono mai ripetuti: è molto difficile trovare nel cinema di Lattuada quei manierismi che ogni grande autore dopo un po’ infila nei suoi film in maniera quasi automatica. È stato uno dei registi italiani più innovativi di sempre.
L’elenco delle sue opere lascia in effetti a bocca aperta.
È regista di film importantissimi come ‘Senza pietà’, ‘I mulino del Po’, ‘Il cappotto’, ‘Il delitto di Giovanni Episcopo’. È il regista di film che se fossero stati realizzati da cineasti non italiani sarebbero stati accolti come epocali, come ‘Dolci inganni’ e ‘Guendalina’. Ha realizzato alcune delle cosiddette commedie all’italiana più importanti di sempre, penso a ‘Mafioso’, a ‘Don Giovanni in Sicilia’. Ha realizzato un film clamoroso e imprendibile come ‘Venga a prendere il caffè da noi’ con un Ugo Tognazzi in stato di grazia. Ha diretto Renato Pozzetto in quello che è probabilmente il suo miglior film: ‘Oh, Serafina!’. Ha diretto una cosa assolutamente innovativa come ‘Cuore di cane’, un melodramma epocale come ‘Anna’ con Silvana Mangano. Film che all’epoca ebbero un enorme successo e come purtroppo capita, il successo di pubblico diventa uno stigma.
Guardando oltre la retrospettiva, Cannes e Berlino hanno posticipato le proprie edizioni. Questo crea problemi a Locarno?
Io non parlerei di ripercussioni: lo svolgimento di festival come Cannes è una buona notizia per tutta l’industria del cinema in Europa e nel mondo. Ovviamente si crea un ravvicinamento, ma non vedo particolari criticità. Il problema che vedo è un altro: riflettere, in questi tempi di pandemia, cosa fare con la cultura, come supportare la cultura. Perché, e mi perdoni se suono un po’ retorico, senza una cultura forte, vigile, diversificata, democratica non si va molto lontano.
La Retrospettiva dedicata a Lattuada sarà preceduta da una serie di appuntamenti online, delle “video pillole” realizzate con studiosi e personalità del cinema italiano e internazionale: un’anticipazione online che rientra nella strategia digitale del festival, con una presenza online durante tutto l’anno e al cuore l’evento in presenza con incontri e proiezioni. Ma, come ha recentemente ribadito il consigliere federale Alain Berset, non è ancora possibile pensare a un piano per le riaperture e prevedere con quali limitazioni il Locarno film festival si potrà tenere ad agosto. «Ci stiamo preparando a ogni evenienza, ma la nostra priorità è un’edizione il più simile possibile all’ultima completa del 2019» ci spiega il direttore operativo Raphaël Brunschwig.
Su quali restrizioni state ragionando? «Non sappiamo quale sarà la situazione il prossimo agosto, ma abbiamo bisogno di alcuni punti di riferimento per muoverci. Stiamo quindi lavorando sulla base delle limitazioni in vigore dal primo ottobre, quando era caduto il limite delle mille persone; quindi più di mille persone, distanziamento sociale, mascherina negli spazi chiusi e in fila, sanificazione».
Con delle limitazioni simili sarà possibile tornare in Piazza Grande, grande assente dell’edizione 2020: un ritorno importante anche perché, ci ricorda Brunschwig, «sarà il cinquantesimo anniversario delle proiezioni in piazza». Anche qui, non avendo certezze sul tipo di limitazioni – capienza dimezzata? pubblico diviso in settori da 300 persone? – si ragiona su più ipotesi. Un punto fermo comunque c’è: «La pandemia ci costringerà a rinunciare a una delle caratteristiche del festival e della piazza: la libera scelta del posto». La prenotazione obbligatoria del posto è quindi certa. Incertezza, per contro, sugli ospiti internazionali: «Un conto è la situazione in Svizzera, un altro la situazione fuori, per quanto come si è visto con i festival di Zurigo e di Venezia, invitare qualcuno per motivi professionali è possibile anche se più complicato».
Questo, con tutte le variabili del caso, il primo scenario: un festival in presenza seppur con alcune limitazioni. C’è poi il secondo scenario «che consideriamo meno probabile, ma al quale dobbiamo comunque pensare per essere pronti». Un festival ibrido come quello del 2020? «In realtà – risponde Brunschwig – entrambi gli scenari sono ibridi perché il futuro di eventi come il festival è quello e noi ci stiamo preparando tra l’altro anche con la cattedra istituita con l’Università della Svizzera italiana, per la quale dovremmo giungere a una nomina entro l’estate. Ma se il primo scenario ha al centro gli eventi in presenza, i secondo prevede invece un’esperienza fisica molto limitata».
I giochi sono al momento ancora aperti, ma a un certo punto si dovrà prendere una decisione: «Il limite temporale per noi è fine aprile-inizio maggio. Dopo, i costi di un annullamento creerebbero un deficit impossibile da gestire». A proposito, quali sono gli aspetti finanziari dei due scenari? «Nel primo caso, stimando un pubblico dimezzato, parliamo di una riduzione del budget di circa un milione e mezzo: 13 milioni, invece dei 14,5 che avremmo se fosse un anno “normale”. Dovremmo rivedere alcune spese, anche per i costi in più per i dispositivi di sicurezza». E per il secondo scenario? «La situazione è molto incerta: l’anno scorso i partner sono stati molto comprensivi e generosi, quest’anno l’ipotetica rinegoziazione degli accordi sarà certamente più difficile».