Ubs è ancora alle prese con un processo penale in Francia con potenziale sanzione pluri-miliardaria
Dopo nove anni trascorsi alla testa della prima banca svizzera e a oltre uno dalle prime indiscrezioni di stampa sulla sua uscita di scena, l’annuncio della partenza di Sergio Ermotti ha poco di clamoroso o sorprendente. Era solo questione di tempo: di mesi al massimo. Eppoi sarebbe stato poco saggio, da parte del consiglio di amministrazione, far continuare le speculazioni su una partenza che era comunque già realizzata. Il fatto che la nomina del sostituto sia avvenuta contestualmente all’annuncio delle dimissioni conferma che la decisione di un ‘divorzio consensuale’ era già stata presa.
Che dire però del quasi decennio di direzione Ermotti? Come tutti i bilanci, anche quello del manager ticinese è in chiaroscuro. Arrivato nell’aprile del 2011 in Ubs per occuparsi del mercato Emea (Europa, medio oriente e Africa), già a settembre di quell’anno fu chiamato a ricoprire l’incarico di Ceo a interim dopo le dimissioni – quelle sì a sorpresa – di Oswald Grübel, il risanatore della banca dopo i pesanti contraccolpi della crisi finanziaria del 2008 e le note vicende legali statunitensi. Grübel lasciò la guida di Ubs dopo il caso del trader Kweku Adoboli che da Londra aveva causato alla banca danni per oltre due miliardi di dollari. Fu in quell’ulteriore drammatico frangente della storia di Ubs che si accese la stella di Ermotti.
Da allora, abbandonata la strategia velleitaria di Marcel Ospel negli Stati Uniti che si tradusse in un quasi fallimento clamoroso (i miliardi di titoli subprime acquistati a mani basse), l’attività della banca si è focalizzata più sulla gestione patrimoniale – il vero core business di gran parte del comparto bancario svizzero – che sull’investment banking. Una scelta che secondo alcuni analisti ha permesso in questi anni a Ubs di navigare in acque più tranquille senza però grande brio per quanto riguarda i risultati. Ringiovanire il vertice con l’arrivo dell’olandese Ralph Hamers, che ha contribuito a innovare fortemente Ing, potrebbe essere un modo per ridare slancio al gruppo e guidarlo definitivamente oltre la trasformazione digitale. Che detto così appare una cosa buona e giusta. Ma attuarla vorrà dire usare la mano pesante sul capitolo costi del personale, per esempio. Questo, comunque, lo vedremo nei prossimi anni. Intanto altri big della finanza internazionale hanno già annunciato forti ristrutturazioni proprio per adeguarsi al mondo che verrà.
Per rimanere all’era Ermotti, non si possono però sottacere altri due aspetti che hanno caratterizzato la sua direzione: i bonus milionari e l’incombente multa francese da quasi quasi 5 miliardi di franchi. Ubs è accusata di aver aiutato contribuenti francesi a evadere sistematicamente il fisco: una storia che ricorda le vicende americane. La sentenza d’appello dovrebbe arrivare il prossimo giugno. In prima istanza Ubs è stata condannata un anno fa a versare alle casse pubbliche francesi, tra multa e risarcimento danni, una somma pari a 4,5 miliardi di euro. Non mancarono in quell’occasione le critiche dello stesso Ermotti all’indirizzo del consiglio federale, che non avrebbe sostenuto abbastanza Ubs.
I maligni di ‘Inside Paradeplatz’ (sito controcorrente), rimarcando le differenze tra il Ceo partente e Hamers, hanno notato come in questi anni nonostante conti poco brillanti e strascichi giudiziari irrisolti, Ermotti abbia incassato oltre 100 milioni di franchi. Il suo omologo a Ing ne ha guadagnati dieci volte di meno. Addirittura, un suo tentativo di raddoppiarsi lo stipendio (da 1,6 milioni di euro l’anno a tre milioni) fu bloccato prontamente dal Cda e generò una marea di critiche tra i moderati politici olandesi, che non sono notoriamente pericolosi marxisti. L’arrivo di Hamers non è quindi da prendere come il via libera a una stagione di moderazione salariale, almeno ai vertici della banca.