Il buon libro ti fa sentire libero, ti fa navigare pensiero e immaginazione, stimola lo spirito critico, aiuta a conoscersi meglio...
A Natale regaleremo anche libri. Faremo contenti i nostri editori. Non tanto per la cifra d’affari; forse per la sopravvivenza economica o perché bisogna guadagnar fede nel continuare a produrre libri. Desta meraviglia e qualche orgoglio vedere degli editori ticinesi presenti alla fiera “Più libri più liberi” a Roma, posti lì accanto alle più corpose case editrici italiane. Roma è lontana e si suppone che ci voglia il coraggio del confronto (tipografico, dei frontespizi, dei contenuti) o forse anche quello di chi si sente umile e povero tra i più blasonati per essere presenti.
L’assunto della fiera racchiude però il vero dono di ogni buon libro, dovunque nasca o sia letto: farti sentire libero, far navigare pensiero e immaginazione, stimolare spirito critico, confrontarsi e conoscersi meglio, esplorare gli altri e il mondo passato e presente.
Forse è proprio il fatto di sentirsi meno liberi e più intrappolati dal mercato o dalle credenze, che induce a cercare il libro come strumento di libertà sul prevalere della società dell’apparenza, della mercificazione di tutto, della chiacchiera infinita, della “cultura” imperante del disimpegno. Quest’ultima ha la pretesa, con il trucco della faciloneria, del divertimento, delle arlecchinate (come capita in trasmissioni televisive) di salvare la cultura che richiede invece sempre impegno e proprio per questo è subito bollata come repellente e tediosa. E così, invece di alzare il livello di impegno, si continua ad abbassarlo. E poi si sa comunque che i libri, per dirla con Proust, “sono l’opera della solitudine e i figli del silenzio”.
Un’atmosfera di ammirazione e di intelligenza è ciò che dobbiamo ai libri, affinché il loro apporto alla vita individuale e sociale, alla coscienza di ciò che siamo, alla libertà di giudizio e di azione, all’umanità, non sia sommersa in un oceano di conformismo, di sogghigni o di incomprensioni. Tutto questo dicono, riassunto in poche parole, in una sorta di manifesto, scrittori e editori francesi (cui fa seguito un’analoga presa di posizione di scrittori e editori romandi) che chiedono alla Televisione pubblica di contribuirvi, dedicando maggiori spazi al libro e agli scrittori. Singolare e significativa coincidenza.
Il Ticino, se usiamo i soliti parametri di giudizio (superficie, abitanti, minoranza culturale appartata geograficamente e politicamente), dal punto di vista editoriale è certamente un fenomeno europeo, come lo era un tempo per il numero di quotidiani: produce e sforna un numero incredibile di libri. Economia e politica non ne tengono mai conto, non dandogli né importanza né forse avvenire. E se ne vedono le conseguenze. Non si può dire per editori e libri: “Prima i nostri”. Aggiungeremmo a quella politica una bestemmia culturale. Eppure, da un punto di vista economico, si ha un settore sinora più importante della mitica “fashion” esaltata da certi rapporti d’avvenire e dal punto di vista politico e culturale ci vorrebbe qualche riguardo particolare (oltre l’imposta sul valore aggiunto appioppata, benché ridotta, anche ai libri, quasi dovessero pagare il posteggio nei nostri cervelli). Un pizzico di orgoglio storico, poi, non guasterebbe, neppure ai patriottardi, se si sovvenissero di tempi in cui le tipografie ticinesi contribuivano con libri e gazzette a portare voglia di libertà in Italia e in Europa.