Quando in sanità si nascondono gli errori e non c'è trasparenza a farne le spese è la sicurezza
Quell’8 luglio 2014, nella sua testa, il dottor Rey era convinto di operare una paziente, mentre sotto i ferri ne aveva un’altra. Il risultato: una donna di 67 anni che doveva incidere un tumore dietro un capezzolo, si è risvegliata senza entrambi i seni. Il medico le spiegherà subito che il tumore era più esteso del previsto. Una bugia durata 4 mesi. A dire del medico condannato, una ‘bugia a fin di bene’, perché attendeva il momento più opportuno per informarla. Quando? Anche sul rapporto operatorio c’è la stessa bugia. La verità, conosciuta da molti in clinica, è che c’era stato uno scambio di pazienti. Mai segnalato dal medico e dalla clinica alle autorità competenti.
In sala operatoria – è emerso durante il processo al dottor Rey – tutti sapevano, a parte il chirurgo, che stava operando la paziente sbagliata. Nessuno l’ha bloccato o meglio lui non ha ascoltato i suoi collaboratori. Una mancanza di comunicazione tra chi lavora in sala operatoria a pochi centimetri che lascia di stucco. E il punto centrale è proprio questo: ogni giorno in Svizzera muoiono 4 pazienti non per malattia o cattive cure, ma per un errore di comunicazione tra curanti. Non si parla o non si ascolta!
Eppure si lavora in un contesto ad alto rischio. Ad esempio, alla clinica Sant’Anna, al momento dei fatti, c’era un elevato ‘turnover’ di interventi chirurgici, eseguiti in rapida successione, anche in contemporanea, con team diversi, medici che passavano da una sala all’altra, piani di lavoro che cambiavano anche all’ultimo minuto. In questo contesto era doveroso aprire 4 occhi e identificare il paziente con procedure consigliate dall’Organizzazione sanitaria mondiale dal 2009. Ciò non avvenne. Forse, perché il tempo investito nella sicurezza è tempo perso?
Il caso Rey ci svela una certa realtà sanitaria che lascia perplessi. Infatti la Commissione di vigilanza sanitaria, che è un organo super partes, analizzando (la prima volta) il caso Rey e il contesto in cui è maturato l’errore, arrivava a paragonare i chirurghi ad acrobati che lavorano senza rete di protezione. Stiamo forse sacrificando la sicurezza dei pazienti sull’altare del dio denaro? Avremo sempre più strutture che assomigliano a fabbriche, con sale che non possono restare vuote o ferme e la macchina deve girare, girare e rendere?
In Ticino, come dimostra la cronaca, non si impara dagli errori. A 13 anni di distanza due pazienti hanno subito gravi errori medici che potevano essere evitati. Nel 2001 al Civico di Lugano è stato operato un paziente alla gamba sbagliata. Poi sono state introdotte check-list e verifiche per marcare l’arto da operare e verificare l’identità. Tredici anni dopo, alla Clinica Sant’Anna hanno operato la paziente sbagliata. Non tutti in sala operatoria facevano check-list e verifiche che avrebbero evitato il peggio. Perché continuano a succedere gli stessi errori? Secondo uno dei massimi esperti in materia, il prof. Liam Donaldson, intervistato su questo giornale, proprio perché manca una cultura della sicurezza in varie strutture sanitarie.
L’auspicio è che si inverta la rotta, così da formare nuove generazioni di operatori sanitari con uno sguardo diverso sulla professione, rendendola più sicura per tutti. Intanto, è utile prediligere dove si fanno controlli standardizzati in sala operatoria e dove i tassi di infezione sono bassi. Infatti in Svizzera un paziente su 10 è vittima di un errore in ospedale e la metà era evitabile.
Perché sappiamo così poco di tutto ciò? Il motivo spesso è la mancanza di trasparenza da parte di strutture sanitarie che per paura di finire in prima pagina nascondono, quando possono, gli errori anche ai pazienti. Bugie che fanno male!