Qualcuno a palazzo delle Orsoline se la sente di garantire per lui?
È destinata a fare un salto di livello – ed è giusto che se ne discuta pubblicamente – la polemica sulla promozione dell’agente di polizia della Cantonale, che nel 2016 è stato condannato penalmente per istigazione alla discriminazione razziale per aver inneggiato al nazismo su Facebook. Roba pesante, non robetta.
Andiamo con ordine. Ad accendere la miccia della polemica è stata l’interpellanza del deputato Massimiliano Ay, che ha chiesto al Consiglio di Stato se ‘simpatizzare pubblicamente per l’eversione violenta dell’ordine costituzionale, fuori da ogni legittimità democratica e punibile penalmente dalle leggi, sia condotta compatibile con la funzione di sottufficiale delle nostre forze dell’ordine’. Beh, vista la promozione concessa, la risposta dell’autorità (ci immaginiamo) non può che essere positiva. Ma, per ora, di repliche ufficiali, da parte dei responsabili politici, non ne sono ancora giunte. Impossibile raggiungere il ministro Norman Gobbi per una reazione, così come il presidente del governo Claudio Zali. Se ci siete, battete un colpo. L’argomento è importante.
La domanda sul tavolo – e ora sotto i riflettori dell’opinione pubblica – in altre parole è: perché promuovere di grado un agente che è stato sanzionato amministrativamente e penalmente per post celebranti il nazismo? Considerata la disumanità della barbarie del Terzo Reich e assodata la ferrea volontà dietro il ‘Nie wieder’, la promozione non dovrebbe forse essere incompatibile con la divisa che indossa senza né se né ma? I trascorsi non avrebbero dovuto persino costargli il posto? Insomma, è già tanto che non sia stato allontanato dal corpo di polizia, ma che poi lo si promuova anche...
All’interpellanza che ha rotto il silenzio e gli automatismi, si è poi aggiunta anche una lettera della Federazione svizzera delle società israelite, attente e sensibili alle nuove derive e ai rigurgiti di funeste ideologie. Lettera spedita per direttissima a Bellinzona al capo del Dipartimento delle istituzioni. Per la Federazione svizzera, il fatto che siano passati due anni dal verdetto – che secondo i regolamenti, sono di attesa quando si subisce una condanna – non cambia nulla: il timore espresso nero su bianco è quello di un possibile orientamento duraturo che – scrivono – può influenzare la sua funzione lavorativa di poliziotto. Da qui la precisa domanda nella missiva: ‘Può assicurarci (Gobbi, ndr) che l’orientamento dell’agente non avrà influenza sul suo comportamento e sulla sua capacità di giudizio nel quotidiano operato in seno alla polizia e nei rapporti con le minoranze e gli stranieri in Svizzera?’. Insomma, qualcuno a Palazzo se la sente di garantire?
Indipendentemente dalla persona – che non conosciamo e che possiamo benissimo ritenere capace e ravveduta – quella del preteso rigetto totale di funeste ideologie, costate al mondo milioni di morti, è e rimane una linea rossa invalicabile. Questione, per noi, non solo di immagine, ma anche di sostanza.