Non è un giorno banale per il calcio. Ma la straordinarietà di un mercoledì di ordinaria follia non è tanto data dalla qualificazione alla Svizzera agli ottavi di finale, bensì dall’uscita di scena dei campioni in carica della Germania.
Non è un giorno banale per il calcio. Ma la straordinarietà di un mercoledì di ordinaria follia non è tanto data dalla qualificazione della Svizzera agli ottavi di finale, bensì dall’uscita di scena dei campioni in carica della Germania. A testimonianza dell’imprevedibilità di un Mondiale che mischia un po’ le carte, rimettendo in discussione valori che si pensavano acquisiti. Primo fra tutti, la tanto decantata solidità teutonica, frantumata da un torneo che della ‘Mannschaft’ ha fatto polpette, rimandandola a casa da ultima della classe. Altro che bocciata: umiliata, in barba alla storia.
Non che il passaggio agli ottavi della Svizzera fosse una delle certezze mondiali passibili di ribaltone, ma siccome tante ne sono già successe, è bene accogliere il passaggio del turno come una buona notizia. Risultato in cassaforte, e alla prossima. Senza i trionfalismi che speriamo semmai di scomodare in caso di quarti di finale (o più), ma pur sempre con la gioia che deve accompagnare ogni prova – sofferta o bella che sia – che conduce sotto lo striscione del primo traguardo. Mitigata, però, dal fatto che siamo al minimo sindacale (l’obiettivo iniziale è un altro, sono i quarti di finale), e che l’ultimo esame è stato di gran lunga il più brutto dei tre sostenuti.
Il torneo è una corsa a tappe: per qualche squadra il sogno si è interrotto già al prologo (la Germania paga dazio al debutto disastroso con il Messico), altre hanno perso terreno alle prime asperità, senza più alcuna possibilità di tornare sotto, vittime di limiti oggettivi e penalizzanti. Altre ancora hanno allungato subito, forti di una cifra tecnica ammirevole (la Croazia su tutte, ma anche Belgio e Inghilterra).
La Svizzera non ha la classe di Modric e compagni, né ha potuto imitarne l’incedere. Ma l’esito è il medesimo, e si chiama qualificazione. Dal Brasile alla Costa Rica, con la Serbia nel mezzo a fare da spartiacque burrascoso, con tanto di strascico polemico, la Nazionale rossocrociata è avanzata con passo non sempre spedito, nemmeno troppo convincente, ma regolare, quello sì. E tanto è bastato a legittimarne le ambizioni di passaggio del turno.
Tra esaltazioni momentanee (il gol al Brasile, il 2-1 di Shaqiri alla Serbia sui titoli di coda, il picco emotivo della campagna russa, fin qui) e momenti di autentica ansia (il rigore negato alla Serbia, palo e traversa della Costa Rica in un avvio da incubo ieri sera), la Svizzera ha edificato un ponte che l’ha portata dall’altra parte del fiume senza inzuppare gli scarpini nell’acqua gelida dei dubbi e dei timori di non farcela.
Gli ottavi sono concreti, un primo obiettivo centrato, parziale ma acquisito. Il risultato è in saccoccia, in linea con le attese, ma la maturità della squadra palesata nella gestione di alcuni momenti della fase a gironi ha ancora bisogno di una verifica, prima di essere certificata.
Quanto alla prestazione, i margini sono ampi. Talmente ampi da consegnare a una Svizzera in grado di fare decorosamente il proprio dovere senza squilli di vera gloria (non fin qui, men che meno ieri sera) quel bonus che potrà provare a riscuotere quando le cose si faranno dannatamente serie, e diritto all’errore non ve ne sarà più.
La corsa a tappe si decide in montagna. Da martedì si sale, e il pendio rappresentato dalla Svezia è di prima categoria. A chi ambisce al salto di qualità che questa Nazionale dice di saper fare in quanto ormai cresciuta, viene chiesto uno sforzo supplementare. Che fa la differenza tra la solita Svizzera (quella di ieri, per capirci) e la Svizzera che abbiamo voglia di applaudire, che deve palesarsi martedì a San Pietroburgo.