Le storie di Anna e Mohammad, due migranti formati e inseriti nel mercato. Così aziende e cantone li aiutano a non dipendere in futuro dagli aiuti sociali
Sono arrivati dall’altra parte del mondo come richiedenti l’asilo, hanno imparato l’italiano, e familiarizzato con le regole del lavoro portando a termine un apprendistato. Ora hanno un impiego. Anna e Mohammad ce l’hanno fatta. Lei eritrea, lui afghano, ora sono finanziariamente autonomi. Anna lavora come cameriera, Mohammad è impiegato in ferrovia. A entrambi, qualche anno fa, era stato proposto un Pre-apprendistato di integrazione (PAI, ora PAI+) di un anno: lavoro in azienda e formazione in alternanza. Dodici mesi per migliorare italiano, matematica e attitudine al lavoro, prima di iniziare un apprendistato vero e proprio. Una formula vincente che ha permesso ai due giovani di stare al passo coi compagni di studio e terminare l’apprendistato. «Mi sento metà svizzera, metà eritrea. Qui mi piace perché c’è libertà e tante possibilità di imparare», dice Anna.
Anna è giunta in Ticino nel 2016
Per Mohammed è stata dura, perché la sua famiglia è in Iran: «Mi piace questo sistema di studio e lavoro, da noi non esiste. Ho imparato molto. Sono dovuto diventare grande, indipendente. Non c’era nessuno a casa che mi motivava, devo farlo da solo».
In Iran per il giovane afghano Mohammed non c’erano possibilità
Questa è la sfida annuale con 40 rifugiati e persone ammesse provvisoriamente, (dai 18 ai 35 anni) ma anche persone straniere di età superiore, che a settembre possono iniziare in Ticino il Pre-apprendistato di integrazione. Coinvolti vari settori: logistica, edilizia, metalcostruzione, meccanica di produzione, ristorazione, settore ausiliario ospedaliero (in questi ultimi due ambiti continuano i progetti iniziati nel 2016, ‘Ristor’apprendo’ di Sostare e IntegraTi della Clinica Luganese). Il programma, finanziato da Cantone e Confederazione, c’è da 5 anni ed è stato rinnovato perché si è capito che inserire questi giovani in un contesto lavorativo accelera la loro socializzazione e velocizza l’apprendimento linguistico.
Tatiana Lurati capo dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione (Decs)
Alle spalle molti hanno spesso viaggi disperati per arrivare in Ticino, un livello di istruzione basso, traumi da guerra. «Abbiamo dei coach che li seguono per valorizzare le loro risorse, aiutarli nelle loro difficoltà, coordinare le varie attività tra scuola e datori di lavoro», spiega Tatiana Lurati Grassi, capa dell’Ufficio della formazione continua, dell’innovazione che sottostà alla Divisione della formazione professionale (Decs). Ogni 4 anni, viene rinnovato l’accordo con la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) che stanzia un contributo per studente per il Pre-apprendistato di integrazione. «In questo anno preparatorio cerchiamo di rafforzare le loro competenze di base e le conoscenze linguistiche; fanno una prima esperienza protetta e accompagnata nel mondo del lavoro svizzero per capirne le regole e trovare correttivi. Ad esempio, chi è ammalato impara ad avvisare, a prendere gli appuntamenti dal medico in modo da non perdere una giornata di lavoro».
Per chi viene da altre culture non sono regole scontate. «Li aiutiamo a capire la nostra realtà scolastica e professionale. Quasi al termine del percorso formativo c’è l’esame di italiano Fide, che attesta il loro livello di competenza linguistica, per dimostrare di poter accedere a un apprendistato». Qualche dato: «Il 70% circa viene inserito in un percorso biennale (a volte anche triennale) di apprendistato e spesso il sostegno individuale continua». I posti sono 40 ogni anno. «Non sempre sono tutti occupati. C’è chi riesce a entrare nel mercato del lavoro senza apprendistato. Dal 2018 a oggi oltre 200 persone hanno iniziato e in parte anche concluso il percorso». A segnalare i profili adeguati sono enti che già si occupano di migranti. «Abbiamo costruito una importante rete coi partner classici, come la Croce Rossa, l’Istituto della transizione e del sostegno, Sos Ticino, i Comuni o altri enti che ci segnalano chi potrebbe fare il Pre-apprendistato di integrazione. L’invito è di continuare a segnalarci queste persone». Per la Sem è una soluzione che dà buoni risultati. «Abbiamo affidato un mandato di valutazione del progetto PAI alla Scuola universitaria federale per la formazione professionale (Suffp); il rapporto di ricerca è in fase di ultimazione. Stiamo valutando la raccolta di dati statistici, sul lungo periodo», precisa Lurati Grassi. Altri, come Anna e Mohammad, ce l’hanno fatta. Possono mantenersi da soli, col loro lavoro.
Il suo sogno da bambina era fare l’infermiera, prendersi cura degli altri, poi la vita ha scompaginato le sue carte. Oggi Anna Abraham, 23 anni, eritrea, lavora in un ristorante a Davos come cameriera (runner). Ce la sta mettendo tutta per imparare al meglio il tedesco. «Ero timida ma mi sono buttata, il tedesco è difficile, soprattutto il dialetto, ma piano piano imparo. So che così avrò più chance di trovare un’occupazione ben retribuita», ci spiega la ragazza che ha fatto la sua formazione in Ticino, sfruttando appunto i sostegni federali e cantonali per la formazione dei rifugiati (PAI 2018-2019). Anna è giunta in Ticino nel 2016, per ricongiungersi con la sua mamma e suo fratello, arrivati precedentemente in Svizzera. Il suo viaggio, sicuramente avventuroso per l’allora 16enne, l’aveva portata a entrare illegalmente in Etiopia. È rimasta 5 mesi ad Addis Abeba, il tempo per organizzare un volo per Zurigo. «Mia madre e mio fratello vivevano a Bellinzona dove li ho raggiunti», spiega. In Eritrea, aggiunge, aveva terminato la seconda media. «Una volta ottenuto il permesso B da rifugiato ho potuto continuare gli studi. Ero alle Medie, ma solo per imparare l’italiano», precisa. Familiarizzare con la lingua e il nuovo ambiente scolastico è dura per tutti all’inizio. Tutto è diverso dal Paese che ci si è lasciato alle spalle, ma è anche una grande opportunità offerta dalle autorità elvetiche per costruirsi un futuro. Anna ha voglia di fare, di imparare. «Mi hanno proposto un Pre-tirocinio di integrazione di un anno, che ho accettato».
Anna fa la cameriera (runner) a Davos
«È stato molto utile, prevedeva lavoro e formazione in alternanza. Studiavo matematica, italiano, cultura elvetica ed ero impiegata in cucina alla Casa del Popolo». Dodici mesi per migliorare italiano, matematica e attitudine al lavoro, prima di iniziare un apprendistato vero e proprio. «È stato molto utile avere questo periodo di preparazione sia allo studio sia all’ambiente di lavoro. Qui è molto diverso rispetto al mio Paese», aggiunge. Dopo questa fase, Anna inizia l’apprendistato come impiegata di ristorazione, una formazione che dura 3 anni. Dalla cucina passa alla sala pranzo, come cameriera. «L’ostacolo più grande è stato superare la mia timidezza coi clienti e imparare la lingua. Inoltre non avevo mai lavorato, tutto era nuovo. Mi sono fatta forza e mi sono buttata». Motivazione, un pizzico di coraggio e tanto impegno hanno ripagato la giovane eritrea che arriva fino alla fine della sua formazione. «Io sono curiosa e qui tutto è diverso. Ti viene voglia di imparare e vai avanti. Inoltre alla Casa del Popolo quando avevo un problema con la scuola mi aiutavano». Infatti la gestione del ristorante è affidata a Sostare, un’impresa sociale di Sos Ticino, senza scopo di lucro, che, attraverso percorsi e progetti, mira a coniugare l’attività imprenditoriale, in questo caso nel settore della ristorazione, con l’orientamento ad attività di integrazione, formazione e inserimento socioprofessionale, per persone in situazioni di fragilità.
Una volta diplomata, la giovane resta un anno a lavorare alla Casa del popolo. «Intanto cercavo lavoro nel resto della Svizzera per imparare il tedesco. Se lo sai, è tutto più facile. Quando ho difficoltà mi salva l’inglese. Ho trovato come cameriera a Davos come stagionale. Mi trovo bene, molti tra noi sono stranieri, il salario è buono, sui 4mila franchi al mese e mi danno un luogo dove vivere». La scommessa con Anna è vinta. «Mi sento metà svizzera, metà eritrea. Qui mi piace perché tutto è moderno, pulito, c’è libertà e tante possibilità di imparare, studiare, lavorare. Nessuno ti limita anche se sei donna. Del mio Paese mi manca la cultura, le feste, i nonni». Il suo futuro lo vede in Svizzera. «Vorrei continuare a studiare, magari diventare infermiera».
«Mi piace montare e smontare pezzi, mi piace sporcarmi le mani, imparare cose nuove. Qui in Svizzera posso farlo, come meccanico di produzione alle ferrovie. Qui voglio costruirmi un futuro». Il 26enne Mohammad Kazemi, quando è arrivato in Ticino, otto anni fa, era da poco maggiorenne. Aveva 17 anni, quando decise di scappare da solo dall’Iran, dove per il giovane afghano non c’erano opportunità. Non si è voltato. Anche se in Iran è rimasta a vivere tutta la sua famiglia. «Avevo finito il liceo, volevo fare l’università, ma non ho potuto farlo. Non mi era permesso continuare a studiare, perché sono afghano». È un ragazzo posato, ma il suo sguardo si accende di passione quando parla della sua formazione in Ticino che oggi l’ha portato a lavorare a Olten. «Lavoriamo ai freni dei treni. Per me era un’occasione d’oro poter lavorare a Olten, qui posso imparare il tedesco e trovare un posto fisso, ben pagato. Oggi ho un buon salario e posso risparmiare per aiutare la mia famiglia in Iran», precisa.
Mohammad è arrivato in Ticino nel 2015. Il primo anno ha approfittato dei corsi di italiano pagati dalle autorità. Poi gli viene offerta la possibilità di prendere parte al Pre-tirocinio di integrazione (PAI) che prevede 12 mesi di studio a Gerra Piano alternati a giornate di impiego alla Login alle Officine di Bellinzona. Un percorso per familiarizzarsi con le regole del mondo del lavoro e prepararsi a iniziare l’apprendistato come meccanico di produzione. «Ho passato l’esame e ho potuto iniziare questo anno di studio e lavoro. Eravamo tutti stranieri. Mi è stato molto utile per capire come funzionava il lavoro di meccanico. Quando poi nel 2020 ho iniziato l’apprendistato vero e proprio tutti i miei compagni, visto che erano ticinesi, sapevano benissimo l’italiano».
«Per via della lingua è stata dura, ma c’era chi mi aiutava. Nelle materie scientifiche non avevo problemi, visto che in Iran avevo concluso il liceo», precisa. L’apprendistato dura 3 anni. Lo scorso agosto, il giovane si diploma col massimo dei voti. «Abbiamo finito in 5, eravamo tutti stranieri, ne hanno scelti due, uno ero io. Ho subito insistito per poter andare in Svizzera tedesca. Ho trovato un posto in ferrovia a Olten». In Ticino il clima era migliore ma non la paga. «Qui piove spesso, ma non mi lamento. Mi piace il lavoro che faccio. Montiamo i freni, mi piace capire la meccanica, come funziona, e sto imparando il tedesco. Il mio capo capisce bene l’italiano, con gli altri ci si intende anche con l’inglese».
In Iran per il giovane afghano non c’erano possibilità
Ha dovuto sbrogliarsela da solo in tante cose. «I primi tempi chiamavo mia madre per sapere come cucinare il pollo col riso. A casa faceva tutto lei. Ora ho imparato». Malgrado il fisico palestrato, si intenerisce quando parla della sua famiglia che non abbraccia da otto anni. «Questi anni in Svizzera mi hanno cambiato. Sono dovuto diventare grande, indipendente. Non c’era nessuno a casa che mi motivava, sosteneva, dovevo farlo da solo. Loro mi mancano», accenna. A Olten condivide l’appartamento con un compagno ticinese di studi: «Siamo molto amici, la sua famiglia mi ha aiutato a trovare un appartamento, mi hanno sostenuto tanto».
Da piccolo aveva un sogno (“volevo andare all’università e diventare dottore”) che ha dovuto rimettere nel cassetto. Per ora si concentra su progetti a corto termine. «Il mio obiettivo è lavorare, integrarmi, darmi da fare per avere il permesso B e poter andare a visitare la mia famiglia. Dopo tutti questi anni mi sento a metà svizzero. Mi piace questo sistema di studio e lavoro, da noi non esiste. Ho imparato molto», conclude.