laR+ IL COMMENTO

Stupri, furti... la bomba a orologeria dei baby migranti

La via svizzera, tra studio e lavoro, per integrare giovani richiedenti l'asilo nella nostra cultura e società

In sintesi:
  • Investire su accoglienza e inclusione significa anche preservare le città dalle scorribande di baby gang 
  • L’assenza di percorsi formativi in grado di accompagnarli nella nostra cultura, amplificata dalla ricerca di una qualsiasi forma di appartenenza sociale, sembra spingere alcuni di loro verso comportamenti criminali
(Ti-Press)
5 marzo 2024
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A Catania una ragazzina 13enne è stata stuprata, davanti agli occhi del fidanzato inerme, da un branco di sette giovani egiziani ospiti del centro migranti. Alla stazione Centrale di Milano, una delle principali zone dello spaccio cittadino, sei persone sono rimaste ferite nel corso di una serie di rapine messe a segno da un immigrato irregolare ventenne marocchino, ubriaco e armato di coltello. E la lista continua. La violenza non è certo appannaggio dei migranti, ma negli ultimi anni, sono esplosi in varie città europee i reati commessi da baby gang, da minori stranieri non accompagnati, giovani e giovanissimi orfani di una rete di supporto familiare e sociale, abbandonati a loro stessi e ai loro demoni.

L’assenza di percorsi formativi in grado di accompagnarli nella nostra cultura, amplificata dalla ricerca di una qualsiasi forma di appartenenza sociale, sembra spingere alcuni di loro verso comportamenti criminali. Esce il peggio di loro. Forse perché nessuno valorizza il meglio di questi ragazzi. Investire su accoglienza e inclusione significa anche preservare le città dalle scorribande di baby gang, che anziché impegnarsi in attività costruttive, commettono reati. Ragazzi senza progetti di vita, che in gruppo si sentono invincibili, impunibili. «I giovani migranti irregolari e soli sono una bomba a orologeria» ha sintetizzato di recente sul settimanale Panorama l’ex procuratore del Tribunale dei minori di Milano Ciro Cascone. La scuola, ha aggiunto, è la grande assente.

In Svizzera, Confederazione e Cantoni, da qualche anno, stanno investendo su questi richiedenti l’asilo stranieri, spesso qui senza famiglia, con percorsi formativi individuali per introdurli alla vita scolastica e lavorativa. Così da insegnare loro le regole sociali, il rispetto degli altri, dando strumenti per riflettere, per pensare prima di agire, per soppesare le conseguenze di un’azione, per aiutare questi giovani a sentirsi parte di una comunità. È faticoso ma è un investimento su ragazzi in bilico, che saranno i futuri cittadini svizzeri, europei. In Ticino, ci sono coach che li seguono passo dopo passo, che mediano tra scuola e datore di lavoro. Questi ragazzi hanno un obiettivo, una chance di guadagnarsi una vita dignitosa da noi. Non ciondolano da mattina a sera, senza meta.

In 5 anni, 200 giovani hanno potuto beneficiare di un Pre-apprendistato di integrazione in Ticino: lavoro in azienda e formazione in alternanza. Dodici mesi per migliorare italiano, matematica e attitudine al lavoro, prima di iniziare un apprendistato vero e proprio. Raccontiamo (pp. 2 e 3 dell’edizione odierna) le storie virtuose di Anna e Mohammad. Lei eritrea, lui afghano, oggi sono finanziariamente autonomi. Anna lavora come cameriera, Mohammad è impiegato in ferrovia. I soldi investiti dall’autorità (e quindi da tutti noi) sono stati spesi bene. Entrambi hanno fatto fatica, ma oggi dicono di sentirsi a metà svizzeri.

Funzionerà per alcuni, forse non per tutti come dimostra il recente caso di presunta violenza carnale sul Tilo da parte di due richiedenti l’asilo ai danni di una ragazza ubriaca. Per quei giovani richiedenti l’asilo volonterosi c’è una via per sostenerli in modo responsabile nel loro percorso di integrazione. Alla fine ci guadagnano tutti: loro e l’intera società elvetica.

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