Se dovessi parlare ai miei nipoti di Gaza, racconterei loro che la Striscia di Gaza è un territorio di 365 km2, meno del distretto di Vallemaggia, dove vivevano come in una prigione quasi due milioni di abitanti; oggi 3/4 delle case sono state distrutte. Proverei a spiegare loro che la guerra è cominciata un anno fa, dopo che il ramo armato di Hamas ha attaccato violentemente il Sud di Israele, causando la morte di 1’143 persone (di cui 35 bambini) e la presa di 222 ostaggi. Da allora Israele bombarda a tappeto Gaza per trovare i terroristi: un’operazione di punizione collettiva costata la vita a oltre 17’000 bambini, tantissimi per un Paese così piccolo. Parlerei dei bambini ancora vivi, che vivono in mezzo alle macerie: traumatizzati per sempre, ustionati, amputati, affamati, disidratati, incapaci di dormire a causa dei bombardamenti e del rumore continuo dei droni che perlustrano le strade, ammalati, disperati per la morte di genitori o parenti. A Gaza l’esercito israeliano ha anche distrutto gli impianti che rendono l’acqua del mare potabile. Non c’è da bere e le malattie proliferano. Oltre a tutto questo, tra poco, quei bimbi non andranno più a scuola perché l’Unrwa, che pagava i maestri, dovrà lasciare Gaza a fine anno. Gaza è un inferno: è questo che direi loro.
Distruzione di scuole e ospedali, crimini di massa contro i civili, bombardamenti e stato di assedio totale che priva la popolazione di cibo, di accesso all’acqua e alle cure, ostacolando l’aiuto umanitario. Bimbi, questo ha un nome: genocidio. Ce ne sono stati altri nella storia, ma si aveva la scusa di non sapere... Oggi invece si sa, eccome!
Ho vergogna come svizzera perché il nostro Paese ha dimezzato il suo contributo all’Unrwa in un momento di estremo bisogno. Ho vergogna come cristiana perché Israele usa la Bibbia e Dio per giustificare un massacro degli innocenti. Cari nipoti, ho vergogna e non potevo più stare zitta.