Lo spettro dell’industrializzazione della montagna si avvicina. Con la nuova legge sull’energia elettrica in votazione il prossimo 9 giugno, per certi versi interessante, è in gioco la protezione della natura. Questa legge mira infatti ad accelerare le procedure pianificatorie per l’installazione di turbine eoliche e parchi solari anche in aree naturali meritevoli di tutela. I fautori del Sì, comprese non poche associazioni ambientaliste, affrontano la questione con proclami salvifici quando, nei fatti, a prevalere sono il credo dei grandi gruppi industriali e le convenienze nazionali. Il capolavoro consisterà poi nell’autorizzare (e sovvenzionare) anche qualche parco fotovoltaico in odore di speculazione, con buona pace dei progetti perlomeno validi. È l’altra faccia della corsa ai sistemi definiti non inquinanti.
Fatto curioso: le associazioni ambientaliste favorevoli agli impianti fotovoltaici in montagna sono le stesse che proteggono una fauna (i grandi predatori) che mette in ginocchio l’economia pastorale, facendo strame dell’arte casearia. In aggiunta, c’è la palese contraddizione fra il ripristino di paludi, praterie, tratti di fiume, e l’accettazione di deroghe per l’installazione di parchi solari in altitudine: si promuove il recupero di uno stagno e nel contempo si va a massacrare il paesaggio con enormi superfici ricoperte di pannelli fotovoltaici.
Troppo spesso ci si dimentica della funzione protettiva delle terre alte nei confronti del piano. La cultura cittadina e imprenditoriale è poco incline a riconoscere alla montagna questo ruolo fondamentale. Scriveva Virgilio nel 36 a.C.: “Cura la montagna se vuoi salvare il piano”. La Svizzera si appresta a fare l’esatto contrario. Il 9 giugno votiamo No all’aggressione legalizzata (e sovvenzionata) alla montagna.