laR+ IL COMMENTO

Fermata sulle Alpi per il Solarexpress

I parchi solari ad alta quota hanno un enorme potenziale in Svizzera, dove l’espansione del fotovoltaico avanza troppo lentamente

In sintesi:
  • Preoccupa la capacità della rete di trasmissione, già oggi congestionata in più punti
  • Malauguratamente, le autorità ticinesi finora non si sono attivate come quelle di altri cantoni
Presto anche in campo libero sulle Alpi?
(Keystone)
10 giugno 2023
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Settant’anni fa l’industria idroelettrica irruppe nelle valli dei cantoni alpini. Portò il ‘progresso’ e posti di lavoro, ‘modernizzò’ un mondo ancestrale. Il prezzo da pagare: paesaggi devastati; fiumi ridotti a risorsa da sfruttare; equilibri economici e sociali stravolti. In Ticino lo scrittore e pescatore Plinio Martini affidò dolore e rabbia a vibranti parole che denunciavano lo sfregio della sua Vallemaggia, la morte del suo fiume.

Nessuno ne userà di altrettanto potenti per criticare i grandi impianti fotovoltaici che sorgeranno sulle montagne svizzere nei prossimi anni. L’‘offensiva solare’ voluta dal Parlamento sotto forma di legge urgente (detta ‘Solarexpress’) non ha certo la portata ‘culturale’ della rivoluzione idroelettrica del secolo scorso. Eppure vediamo riaffiorare quella visione romantica – l’attaccamento viscerale a un paesaggio e a una natura intatti – che del pensiero di Martini era componente tutt’altro che secondaria.

Che arrivi dalla sinistra ecologista o dalla destra democentrista, qualsiasi romanticismo è fuori luogo nell’attuale contesto energetico e climatico. Intendiamoci: non fa una grinza il ragionamento secondo cui – prima di costruire grandi impianti fotovoltaici ad alta quota, in campo libero – bisogna sfruttare l’enorme potenziale di tetti e facciate esistenti. Il fatto è che al momento in Svizzera solo il 7% del potenziale dei tetti viene utilizzato (vedi a pagina 2). Se rapportata agli obiettivi energetici in discussione in Parlamento e a quelli climatici dell’Accordo di Parigi, l’espansione della produzione fotovoltaica – nonostante il boom degli ultimi anni – rimane troppo lenta. E non va certo nella giusta direzione la recente decisione del Consiglio degli Stati, contrario all’obbligo di installare pannelli solari sulle nuove costruzioni.

Non si scappa: un balzo avanti nella produzione indigena di energie rinnovabili non può prescindere da impianti solari di grandi dimensioni. Che andranno realizzati sia sulle infrastrutture esistenti (edifici industriali, parcheggi, serre, ripari fonici lungo le autostrade, cave dismesse, dighe, ecc.), sia in campo libero ad alta quota. Occorre avanzare subito su entrambi i binari, non prima su uno e solo in seguito sull’altro. Perché i parchi solari in montagna hanno un enorme potenziale: possono fornire un contributo essenziale alla produzione elettrica, soprattutto fra ottobre e marzo, oltretutto a costi simili a quelli del fotovoltaico ‘convenzionale’.

L’‘offensiva solare’ non deve però tradursi in uno scempio per la natura e il paesaggio alpino, particolarmente vulnerabile. In Parlamento s’è evitato il peggio. Ma le organizzazioni ambientaliste fanno bene a stare all’erta. La Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio, ad esempio, ha pubblicato un catalogo di criteri di qualità basati su raccomandazioni internazionali: sono una preziosa bussola nella ricerca di siti idonei e per capire come ridurre al minimo l’impatto di simili impianti.

A preoccupare è piuttosto un altro aspetto, sin qui trascurato: la capacità della rete di trasmissione. Già oggi questa è congestionata in più punti. Se dovrà trasportare anche la corrente generata dai parchi solari alpini, i rischi aumenteranno. Servono 15 anni in media per portare a termine un progetto di ampliamento della rete. Anche per questo la politica deve darsi una mossa. Altrimenti il Solarexpress (sul quale malauguratamente il Ticino, a differenza di Grigioni, Vallese e Berna, non dà segno di voler salire in fretta) non troverà binari adatti su cui viaggiare.