Sono indignato. Certo, ci sono fatti e contesti internazionali che sono molto più gravi del motivo della mia indignazione, ma l’articolo di Stefano Marelli del 21 novembre sul tennista italiano Sinner reo, secondo il giornalista, di essere “sportivo fino al masochismo” mi infastidisce non poco. Nelle finali Atp di Torino, scrive Marelli, Sinner “avrebbe tranquillamente potuto farsi battere da Rune” così da mandare a casa Djokovic per non ritrovarselo in finale. Che triste dover leggere che la scaltrezza viene incoraggiata fino al punto di fregarsene dell’etica morale e sportiva. Che triste dover intuire dall’articolo (mi si risponderà che ho frainteso, vittima del mio pensar male) che per diventare un “italiano vero”, Sinner deve migliorare la sua scaltrezza al punto di “fare il biscotto”. Che ingenuo che sono. Io che come allenatore ho sempre cercato di trasmettere ai miei ragazzi la ferma convinzione che la correttezza porta alla forza. Lo ammetto senza vergogna: sono stato uno degli allenatori più perdenti in ambito giovanile e quindi i risultati dovrebbero portarmi a pensare che avevo torto. Ma la vittoria può essere anche un’altra, non per forza sul campo, bensì nella vita. Voglio continuare a credere che se siamo corretti forse non riceveremo subito un trofeo, ma sarà la vita a premiarci in maniera molto più completa. Mi si dirà che perdere apposta una partita rimane nel campo della legalità e quindi della correttezza. Per me no. Grazie caro Sinner, se vorrai rimanere un pollo. Grazie a tutti i polli perdenti, forse fuori moda, ma profondamente vincenti.
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Indignarsi è diritto di tutti, e ognuno lo fa per ciò che preferisce. Che ai ragazzini vadano insegnati i sani principi è assodato, e il compito è appunto demandato a genitori, docenti, allenatori, volendo ai preti. Moralizzare non è però il mandato dei giornalisti, che devono invece descrivere o commentare ciò che accade. Nello sport professionistico – piaccia o no – il risultato è ciò che più conta, e per raggiungerlo si possono usare tutti i mezzi leciti a disposizione.
Nel basket, ad esempio, si presume che chi va in lunetta lo faccia per segnare, eppure vediamo giocatori fallire apposta un tiro libero per trarne beneficio: se catturi il rimbalzo, hai infatti l’opportunità di mettere a referto 2 o 3 punti invece di 1. Vanno forse condannati per distorcere il principio per cui furono inventati i tiri liberi? La scaltrezza, fino a prova contraria, è una dote, mica un’abiezione.
Stefano Marelli