Surclassato in semifinale a Melbourne dall’emergente italiano Jannik Sinner, il numero 1 al mondo è parso per la prima volta mostrare tutti i suoi 36 anni
Hyeon Chung aspetta che il rovescio di Novak Djokovic finisca in corridoio, per togliersi la pallina dalla tasca ed esultare moderatamente per la più grande impresa della sua vita. Diciannove anni, dalla Corea del Sud, gambe da corridore e occhiali Oakley bianchi, ha appena sconfitto il più grande giocatore della storia sul cemento australiano, già sei volte vincitore del torneo.
Per Djokovic è la seconda sconfitta precoce consecutiva nel torneo, dopo quella contro Istomin dell’anno precedente. Ha 31 anni e tutto sembra mal funzionare nel suo tennis: l’infortunio al gomito, le crisi mistiche, un rapporto col nuovo coach Andre Agassi piuttosto controverso. Compariva solo nelle grandi occasioni, e si faceva sentire soprattutto a mezzo stampa, dove parlava liberamente di un Djokovic senza motivazioni: «Non aveva mai avuto trent’anni prima di oggi, ha bisogno di ispirazione, di input e di lavoro». In pochi, quel giorno, avrebbero scommesso che sarebbero dovuti passare altri 2185 giorni prima di un’altra sconfitta di Novak Djokovic agli Australian Open.
Oggi Nole di anni ne ha 36 e la sconfitta ha un significato diverso. A batterlo non c’è un sorprendente giovane coreano, ma il numero 4 del mondo che lo aveva già battuto in due degli ultimi tre confronti. Un tennista considerato il futuro del tennis, che sembra nato per deporre il vecchio re. Un tennista che lo ha sconfitto in modo perentorio, senza concedergli alcuna palla break: non era mai successo nella sua carriera negli Slam, a Djokovic, di perdere senza nemmeno avere una palla break a disposizione – e quindi senza mai dare la sensazione di poter contrastare il dominio di Sinner.
I segnali erano preoccupanti dal principio. Una decina di giorni fa Djokovic ha giocato il primo turno più lungo della sua carriera, contro il talentuoso croato Dario Prizmic, e anche nei turni successivi il suo tennis era sembrato opaco. Imbolsito nei movimenti laterali, meno penetrante nel ritmo da fondo; tenuto spesso in vita dal rendimento del servizio, progressivamente migliorato dopo l’arrivo di Goran Ivanisevic nel suo staff. Ha perso un set da Prizmic, uno da Popyrin, uno da Fritz. Guardando quelle partite ci si poteva forse accorgere che c’era qualcosa di diverso rispetto alle solite marce basse con cui Nole naviga di solito nella bassa marea dei primi turni. C’era qualcosa di perduto, qualche secondo di velocità, un leggero deterioramento competitivo.
Jannik Sinner arrivava alla semifinale senza aver perso un set, e con sensazioni diametralmente opposte. L’unico momento in cui ha lasciato che un avversario si avvicinasse a lui è stato nel tiebreak del quarto di finale contro Rublev, dove si è trovato sotto 5-1 ed è riuscito comunque a rimontare giocando un tennis fiammeggiante.
Era il giocatore più in forma al declinare del 2023, e ha ripreso da dove aveva finito. Gli mancava un piccolo salto mentale, che può essere però grande e incolmabile per alcuni giocatori. Tsitsipas, Rublev, Zverev non lo hanno mai fatto e sono tutti rimasti in quel limbo di eccellenza di scarso successo per diversi anni. Negli ultimi mesi Sinner era riuscito a battere alcuni dei migliori giocatori del circuito, ma gli mancava ancora un grande risultato in uno Slam.
Insomma, l’italiano era lanciato in questa semifinale, ma conosciamo Djokovic: sembra provare un gusto particolare a sgonfiare i sogni di gloria di questi giovani talenti. Negli ultimi due anni hanno nutrito il suo immenso spirito competitivo. Quando ha perso a Wimbledon con Alcaraz ne ha tratto ulteriore energia per vincere negli Stati Uniti. E così c’era questo pensiero, vagamente magico, in parte irrazionale, che Djokovic avrebbe vinto proprio perché tutto lasciava pensare che era sfavorito. Il tennis tre su cinque, il suo regno, lo avrebbe aiutato a nascondere i difetti, a rendere ininfluenti le proprie flessioni. Invece è andato a sbattere sulla realtà.
Sinner ha iniziato la partita determinato e volitivo, com’era successo nei precedenti incontri fra i due. Lo ha martellato da fondo campo sbagliando pochissimo, tenendo un ritmo alto ma senza andare fuori giri. La palla dell’italiano era sempre veloce e profonda, i suoi spostamenti leggeri ed esatti, e Djokovic è andato subito in grande difficoltà in ciò che è essenziale nel tennis di oggi: la manovra da fondo campo.
Senza nemmeno l’aiuto del servizio – meno della metà di prime in campo – ha perso il primo set in poco più di mezz’ora facendo un solo game. Nel secondo il suo rendimento si è leggermente alzato, ma non abbastanza da arginare la mareggiata Sinner, che si è aggiudicato anche il secondo parziale.
Non si era mai visto Djokovic così in difficoltà a sostenere lo scambio da fondo campo contro un altro giocatore, soprattutto all’Australian Open, che per tanti aspetti è il suo cortile di casa. Allora il serbo ha provato a mescolare le carte, a usare le variazioni; qualche palla corta, qualche discesa a rete, ma il ritmo di Sinner era troppo alto per provare a fare qualcosa di diverso.
Nel terzo set ha avuto una reazione, annullando un matchpoint e vincendo il tiebreak, ma più grazie ai nervi che al suo corpo e al suo tennis. Al quarto set già non ne aveva più, e ha subito il break decisivo in fretta. «Avevo la sensazione che non stesse bene, e ho continuato a spingere» ha detto poi Sinner a fine match. I numeri della partita sono inquietanti. Djokovic ha messo a segno 32 vincenti, a fronte però di 54 errori non forzati. Un numero esorbitante. Soprattutto, Nole non è riuscito a ottenere nemmeno una palla break, nonostante Sinner abbia servito appena il 58% di prime palle. Certo, la seconda palla di servizio dell’italiano è stata sempre sostanziosa e ben direzionata (spesso al corpo), ma Djokovic è il miglior risponditore del circuito: qualcosa non ha funzionato.
Magari la partita persa contro Sinner a Malaga, nella finale di Coppa Davis, ha toccato anche qualcosa a livello mentale. Il tennis si sviluppa nel duello, e lo stato mentale in cui si arriva alle partite – oltre alla dimensione tecnico-tattica – è sempre condizionata dai precedenti.
L’impressione, però, è che la differenza sia stata soprattutto fisica. Se nei primi confronti Sinner usciva spesso provato dal duello atletico con Djokovic, durante la semifinale ha mostrato una forza e una reattività incredibilmente superiori (ha dichiarato di aver lavorato molto sull’aspetto fisico nella off season). È questo il dato più inquietante per Djokovic: per la prima volta abbiamo preso consapevolezza che si tratta di un giocatore di quasi 37 anni. Durante la partita è sembrata cadere la quarta parete del palcoscenico montato in questi anni, in cui Nole ci ha dato l’illusione di poter essere eterno, di poter rimontare qualsiasi partita, domare qualsiasi avversario, di dare l’impressione – rara nello sport, unica nel tennis – di poter essere invincibile.
Sinner ha picconato questa illusione a forza di dritti e rovesci strabilianti, rompendo l’incantesimo, restituendo al tennis una propria natura oggettiva. Il tempo passa persino per Novak Djokovic, che del tempo è stato il miglior avversario, con la sua dieta vegana, gluten-free, lo yoga mattutino, la preparazione psicofisica impeccabile. Una serie di regole sacre che è stata spesso oggetto di ironia, ma che gli ha garantito una condizione atletica quasi sempre migliore di avversari molto più giovani. Durante lo scorso Wimbledon, dove ha sfiorato il record di campione più anziano di sempre, aveva spiegato che l’età biologica è una convenzione: «Hai l’età che ti senti. Io mi sento giovane nel corpo, nella testa, nel cuore». Aveva detto che il tempo passato coi figli lo stava aiutando a rimanere giovane: «L’innocenza, l’incredibile curiosità, l’amore puro e l’energia che provo quando sono con loro rafforzano il mio bambino interiore».
Qualche settimana fa Djokovic aveva rassicurato di non prendere nemmeno in considerazione il ritiro. Che senso aveva pensare di ritirarsi mentre si era al vertice del proprio sport? In fondo Djokovic aveva vinto tre dei quattro Slam giocati nel 2023. Qualcosa, dopo questa sconfitta, potrebbe essere cambiato. È stata la più brutta sconfitta rimediata in uno Slam da tanti anni a questa parte. Ai microfoni è parso più provato del solito. Ha riconosciuto i meriti di Sinner con la solita onestà, ma ha anche detto di essere scioccato, in negativo, dal proprio livello. «Una delle mie peggiori prestazioni in uno Slam» ha detto, ed è difficile dargli torto. Che sia arrivata a 37 anni, contro un avversario che promette di essere il futuro di questo sport, agli Australian Open, dà all’evento contorni più seri e inquietanti. Mai dare per morto Djokovic: è la storia che ce lo insegna. È presto per pensare a una detronizzazione definitiva: Djokovic sarà ancora competitivo a Parigi e soprattutto a Wimbledon, forse persino il favorito. Però il suo dominio si è storicamente costruito sui campi in cemento veloce, in Australia, dove aveva perso solo 8 volte, dove non aveva mai perso in semifinale, dove amava vincere per poi andare ad abbracciare un albero del giardino botanico di Melbourne. Un albero con cui sosteneva di avere “una relazione speciale”.
Oggi sui campi veloci non è più il favorito: ci sono almeno tre giocatori superiori a lui, decisamente più giovani di lui. Da alcuni anni l’obiettivo di Djokovic era uno: completare il Calendar Slam, ovvero vincere tutti e 4 gli Slam dell’anno. Ogni anno la vittoria agli Australian Open prolungava questa ambizione titanica fino almeno ai mesi caldi. Ci è andato molto vicino, soprattutto negli ultimi tre anni, e in questo 2024 deve invece subito abbandonare il sogno. Il tempo passa davvero per tutti.