Negli ultimi anni forse a causa del Covid, soprattutto tra i giovani si parla di noia e di stress, difficile comprendere per chi come me visse l’infanzia del dopoguerra. Infanzia vissuta in armonia senza lagne, né oblio, negli angusti vicoli dei borghi giocavamo con niente... giuochi inventati dalla fantasiosità precoce, solo rimedio per sfuggire all’ozio. Da ragazzini, correvamo scalzi verso i campi eseguendo lavori utili per la famiglia, trovando il tempo di contemplare le meraviglie del Creato. A sera, ascoltavamo al chiar di luna i saggi racconti dei vegliardi. In verità non eravamo bambini ma ometti, terminate le scuole a 12 anni, cercammo lavoro: garzoni edili, dai contadini, nei panifici… i più fortunati imparavano un mestiere nell’artigianato. I bambini agiati si contavano sulle dita, erano da noi derisi per i loro vestiti nuovi e le scarpe che non ridevano come le nostre. Oggi c’è chi compra indumenti nuovi per poi strapazzarli… così vuole la moda. In quei tempi, v’era chi a ragione lamentava stanchezza di fatica... ignoto era lo stress. Lavorando nei cantieri edili, a quarant’anni udii la prima volta da un apprendista elettricista questa lagna: "Che stress! Che stress! Oh, come stressa quel capo!". Tentai invano d’interloquire con il querulo novello apprendista. "Ragazzo, dimmi, cos’è questo stress che ti tormenta?". Ma egli continuava a lagnarsi inveendo, oggi l’irritante lagna pende da tante labbra, anche degli adolescenti.