Basta uno sguardo alle cifre esposte dal comitato di sostegno al decreto legislativo concernente il pareggio dei conti del Cantone per iniziare a sentire dei brividi farsi strada verso la nuca: da 2,8 miliardi di franchi di spesa nel 2010 a quasi 4,2 miliardi a preventivo 2022, con una proiezione a ca. 4,3 miliardi nel 2025. Per contro, i ricavi non sono rimasti al passo e oggi si viaggia spensieratamente con 100-150 milioni di differenza che ogni anno vanno ad aggiungersi al debito esistente. I brividi si trasformano in una stretta gelida attorno al futuro fiscale dei contribuenti. Quando uno Stato si sta indebitando eccessivamente, spesso ricorre a un escamotage, ovvero il signoraggio: stampare e mettere sul mercato carta moneta. Una misura, questa, mirata ad allentare la presa e dare al contempo un po’ di respiro allo Stato senza aumentare le imposte e tagliare le prestazioni sociali. Eppure anche questa soluzione non è gratuita, "There ain’t no such thing as a free lunch" diceva Milton Friedman a riguardo: a medio-lungo termine il signoraggio ha un effetto sull’evoluzione dei prezzi, creando un ambiente inflazionario. È in parte ciò che fanno le banche centrali (Bce con l’euro, Fed con il dollaro) quando sono necessarie misure di soccorso per l’economia. La Repubblica e Cantone del Ticino, nonostante la pomposa denominazione ufficiale, non è uno Stato autonomo in materia monetaria e non può quindi attutire le conseguenze del crescente indebitamento stampando moneta. Il Ticino si trova di conseguenza di fronte a una scelta: porsi oggi dei vincoli in maniera fiscale e degli obiettivi chiari, o far sì che questa presa – ogni anno più stretta – venga lasciata in eredità alla prossima generazione, alla mia generazione.