L'ingresso di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, nel contesto di una già fragile economia mondiale, alimenta un clima di profonda incertezza. Definito da Barry Eichengreen, uno dei massimi esperti di storia e di teoria monetaria, una “macchina di incertezza”, Trump combina retorica opportunista e minacce di politiche economiche dagli esiti difficilmente prevedibili, suscitando preoccupazioni significative sul futuro degli investimenti e dei mercati globali. L’aumento annunciato delle tariffe commerciali rischia di avere un impatto negativo sull’offerta manifatturiera americana, mentre la promessa di un dollaro debole, favorevole alle esportazioni, appare sempre più incompatibile con le misure protezionistiche che in realtà tendono a rafforzarlo.
Le proiezioni del Fondo monetario internazionale per il periodo 2025-2029 delineano uno scenario di crescita globale del 3% annuo, già giudicato deludente. Tuttavia, tale previsione potrebbe rivelarsi addirittura ottimistica. Tra i rischi principali, segnalati su ‘Il manifesto’ da Pier Luigi Ciocca, già direttore dell’Ufficio ricerche della Banca d’Italia, si segnalano il calo (shock) dell’offerta, l’espansione incontrollata della domanda globale – spinta dalle spese militari e dalle politiche americane fiscali e di espansione della spesa pubblica –, l’incertezza delle banche centrali, la stagnazione della produttività, la crisi della cooperazione economica internazionale, le guerre e l’affermarsi di Paesi nuovi e di alleanze inedite.
Le politiche autarchiche e protezionistiche, se da un lato mirano a rafforzare le produzioni nazionali, dall’altro aumentano i costi comprimendo l’offerta aggregata. L’adozione di sussidi statali, per proteggere l’industria nazionale, può poco a fronte di prospettive di sviluppo dei mercati esteri e della domanda interna negative. Inoltre, l'espansione della domanda legata a spese militari crescenti e a politiche restrittive sull’immigrazione – come annunciato negli Stati Uniti – potrebbe amplificare l’inflazione a livello globale.
Le banche centrali, già condizionate dalla pressione politica e dalla speculazione finanziaria, si trovano in un difficile dilemma: aumentare i tassi per contenere l’inflazione o mantenerli bassi per favorire gli investimenti e contenere la disoccupazione. Tuttavia, il rischio di stagflazione – un mix di inflazione elevata e stagnazione economica – appare sempre più concreto, con conseguenze potenzialmente disastrose per le economie avanzate.
Nonostante i progressi tecnologici nell’ambito dell’Intelligenza artificiale e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la produttività nei paesi Ocse cresce a un ritmo quasi nullo, mentre la speculazione finanziaria sulle nuove frontiere tecnologiche è già a livello di bolla pronta a esplodere. Questo rappresenta un ulteriore freno alla crescita economica, in un contesto dove la cooperazione internazionale è minata da tensioni geopolitiche, autarchia e dalla frammentazione delle alleanze globali. L’ascesa dei Brics (a cui si aggiungono nuovi membri come Egitto, Iran ed Emirati Arabi Uniti) sfida l’egemonia americana e cerca di sottrarsi al dominio del dollaro.
Anche Paesi come la Svizzera si trovano di fronte a scelte strategiche difficili. L’aumento delle spese militari avviene a scapito di settori cruciali come l’educazione e la sanità, evidenziando le contraddizioni delle politiche di austerità. Persino economisti di orientamento liberista, come Francesco Giavazzi recentemente sul ‘Corriere della Sera’, sottolineano la necessità di investire in scuole e ospedali, promuovendo un modello di sviluppo più antropogenetico, ossia orientato allo sviluppo di settori quali la sanità, l’educazione, la cultura e la ricerca e sviluppo. Ma questo richiede un superamento del dogma neoliberista del “freno al disavanzo” e dell’equilibrio finanziario.
Esattamente quello che non si vuole fare, pensando di contrastare gli effetti delle politiche neo-mercantili trumpiane, agendo sul costo del lavoro e del denaro. Con buona pace di coloro che ritengono l’arrivo di Trump una felice opportunità.
Anche se è difficile valutare in termini probabilistici l’avverarsi di una serie di eventi negativi, la logica e l’analisi empirica invitano a non escludere lo scenario più negativo, anche se inatteso. Come ebbe a dire John M. Keynes: l’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre.