Il letterato Thomas Stearns Eliot ha emesso questa formula: “Il genere umano non può sopportare una dose eccessiva di realtà”. Nella civiltà della tecnica che ingloba tutti gli uomini, ogni gruppo, ideologia o fede rinnova i suoi mezzi per contrastare gli altri gruppi, ideologie e fedi. La tecnica promuove l’evanescenza dei fini. È già sempre accaduto che i fini diventano mezzi e che i mezzi diventano fini, ma ora i mezzi hanno quasi fagocitato i fini.
I tanti problemi sono percepiti in modi infiniti e affastellati in una sorta di disagio che grava sull’esistenza di tutti. Fra gli intellettuali l’intesa non è la migliore, il che fa dire a Slavoj Zizek di un approdo al “caos più totale”. Se l’umanità non sa dove andare, non sa andare oltre, non sa porsi dei fini, allora è certo innescata la crisi della filosofia – che il filosofo Raffaele Scolari chiama “metafisica dell’assenza di metafisica”.
Oggi le condizioni in cui un individuo fa esperienza hanno perso i modelli, dopo che la complessità delle relazioni e interdipendenze ha preso il comando, per cui una cosa, un evento, un processo, una conoscenza, sono connessi con mille altri senza comandante e senza demiurgo. L’esperienza vive di incertezza, si forma e si sfalda. Si sente chiedere con insistenza “perché non va più bene”, “chi è che decide”, “non si capisce più niente”. Il tempo presente, che non entusiasma la gente adulta, quella anziana e tanto meno quella giovane, è il presente “apatico” in quanto connotato dal tempo ridotto degli eventi in successione che asfissiano la possibilità di consumare un vissuto. Il presente “eterno” è la sensazione generale causata dal ritmo incessante di produzione e consumo divenuto l’ultimo fine.
Perdono significanza anche le ottocentesche parole di Marx che avevano osato fare ordine: “La classe proprietaria e la classe del proletariato presentano la stessa autoestraneazione umana. Ma la prima classe, in questa autoestraneazione, si sente a suo agio e confermata, sa che l’estraneazione è la sua propria potenza e possiede in essa la parvenza di un’esistenza umana; la seconda classe nell’estraneazione si sente annientata, vede in essa la sua impotenza e la realtà di un’esistenza inumana”. Il cittadino democratico con lo strumento della delega diluisce la sua partecipazione fatta più di sconoscenze che di conoscenze, mentre la visione democratica di Spinoza contempla: l’uguaglianza assoluta degli individui; l’abolizione del diritto dell’uno sull’altro; la comunità democratica per spirito di relazione, e non per coazione, costituendo un reiterato anti-governo come governo della moltitudine. E Zizek non demorde: “Dovremmo essere capaci di discernere, entro quello che sperimentiamo come finzione, il nocciolo duro del Reale che siamo in grado di sopportare solo se lo rendiamo finzione”. Per questo appello fortemente razionale sarebbe d’accordo anche Spinoza.