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Preventivo 2025 e scuole: un paradigma da cambiare

Lunedì 14 ottobre sono entrato per la prima volta nell’aula del Gran Consiglio. Sarebbe stato bello accogliere questa nuova responsabilità in un momento diverso, in un orizzonte politico e sociale meno teso, ma il Preventivo 2025 del Cantone è uno specchio fedele della situazione del Paese. Le finanze pubbliche sono sotto pressione e la frammentazione politica e sociale non facilita i toni pacati: le prospettive di una via d’uscita rapida, così, sembrano lontane. È chiaro che una gestione più attenta e responsabile delle risorse è ormai imprescindibile da parte di tutti gli attori coinvolti, e che una revisione complessiva dei compiti dello Stato non può più essere rimandata a lungo. Anche il Parlamento dovrà farsi carico delle proprie responsabilità, evitando di formulare richieste contraddittorie, come chiedere risparmi e allo stesso tempo promuovere iniziative e mozioni che incrementano la spesa pubblica. Tra le diverse questioni affrontate nel Preventivo 2025, vorrei concentrarmi su quelle che toccano il mondo della scuola, che conosco bene grazie alla mia esperienza come municipale a Locarno. Il Governo intende infatti ridurre i finanziamenti destinati alle scuole comunali, ma senza una riflessione approfondita sui ruoli e le responsabilità dei vari enti coinvolti nell’educazione, come dimostra il fatto, significativo, che la riduzione dei sussidi non sia stata compensata concedendo ai Comuni più autonomia per i loro istituti scolastici. Una delle misure più problematiche è la riduzione del contributo per sezione di scuola comunale, che esclude dalla massa salariale determinante per il contributo i docenti di educazione fisica e musicale, insieme ai docenti di appoggio (anche se per questi ultimi è previsto un contributo separato). Questa esclusione svaluta implicitamente l'importanza di materie fondamentali come l'educazione fisica e musicale, materie che contribuiscono allo sviluppo globale degli studenti. Ridurne il peso economico significa, di fatto, diminuire l’importanza che queste discipline hanno all’interno del sistema scolastico, il che è inaccettabile. Si tratta di un provvedimento che rappresenta una nuova beffa per i Comuni. La scuola ticinese non è una scultura monolitica: assomiglia piuttosto a un mosaico di tessere molto diverse, che tutte insieme compongono l’opera. Riconoscere questa diversità dovrebbe essere il primo passo per una politica scolastica efficace, ma ciò non sta avvenendo. Al contrario, assistiamo a un crescente centralismo, con la promulgazione di norme sempre meno rispettose delle differenze che possono esserci fra Lugano e Lavizzara, fra Bellinzona e Brusino Arsizio, fra Mendrisio e Malvaglia, ma anche tra le varie sezioni di uno stesso comune. I problemi del nostro sistema educativo esistono, ma devono essere affrontati dal basso, ascoltando chi ogni giorno vive nelle aule delle nostre scuole. Il Cantone, però, si ostina ad applicare criteri molto rigidi e puramente matematici. La via d’uscita da questo stallo è chiara: bisogna restituire autonomia ai Comuni, per quanto riguarda l’organizzazione delle loro scuole. Si tratta di un cambio di paradigma che porterebbe nel medio termine a migliorare la qualità dell’educazione, senza aumentare la spesa pubblica. È giusto che le regole del gioco, ossia il quadro generale dell’insegnamento, venga definito a un livello superiore a quello dei Comuni: è però essenziale che ogni istituto possa decidere come organizzarsi per gestire al meglio le sue figure professionali e i suoi strumenti pedagogici, tenendo conto della sua realtà socio-culturale e della sua situazione finanziaria.

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