Una sera, in una villa in riva al Lago Michigan, si ritrovano una decina di giudici, professori universitari e altri maggiorenti dello Stato. A Dayton, nel vicino Ohio, un uomo che “voleva uccidere” ha da poco sparato a 36 persone. 13 ore prima, a El Paso nel Texas, un altro ha sparato a 47 latinoamericani. Il convitato straniero parla di queste stragi e osserva che sarebbe veramente giunto il momento di proibire la vendita libera delle armi d’assalto. In coro, i suoi rispettabili commensali insorgono: “Non ci vorrà togliere anche questa libertà!” e subito invocano il 2° emendamento della Costituzione, che, dal 1791, recita: “… per la sicurezza di uno Stato libero, il diritto del popolo di tenere e portare armi non può essere violato”.
Da questa parte dell’Atlantico, il primo Partito austriaco, l’Fpö, che non rinnega il passato nazional-socialista tedesco ed è impregnato di corporativismo e rifiuto degli immigrati, si chiama comunque “della libertà”. Un’idea anche qui, come per tanti nazionalisti e suprematisti americani, che esalta la forza e l’individuo a scapito del rispetto dell’altro.
Ma la “libertà”, fortunatamente, non viene solo invocata per difendere un individualismo senza limiti come in America e in Austria. Due anni fa, nelle strade della Repubblica iraniana, le donne che rifiutano l’obbligo del velo rischiando la loro vita gridavano “donna, vita, libertà”. La parola “democrazia”, la rivendicazione stessa di questo diritto, non veniva affatto reclamata; come se fosse una tappa successiva, una realtà sottintesa da non prendere, per ora, nemmeno in considerazione. 45 anni fa, d’altronde, Khomeini non volle assolutamente che figurasse nella Costituzione: democrazia significa infatti uguaglianza e in quel regime le donne, in particolare, non ne hanno diritto.
Quanto a noi, la libertà, o piuttosto le specifiche libertà, è giustamente considerata nella Costituzione della Confederazione un corollario necessario della democrazia, per vivere usando ciascuno della “sua libertà”, “nella considerazione e nel rispetto reciproci”.
Come in questi esempi recenti, nella differenza, se non nella contrapposizione, dei due termini “libertà” e “democrazia”, si gioca proprio buona parte del dibattito politico fra democratici e repubblicani americani. Biden e la candidata Kamala Harris usano nei loro discorsi come un grimaldello il richiamo ai valori della democrazia minacciati dall’egocentrico bugiardo Donald Trump. Questi rinfaccia loro d’essere degli inetti “social-comunisti”, che impediscono lo sviluppo dell’economia nazionale e non garantiscono le libertà degli americani (intesi come maschi, naturalmente).
Al di là di questi attacchi frontali, le accuse reciproche fra i candidati dei due partiti restano però piuttosto limitate, per non calpestare, in particolare, il campo minato delle libertà del diritto all’aborto o quella del possesso delle armi. Di fatto, se Trump accusa l’avversaria di voler togliere la “libertà di parola” agli americani, Kamala Harris dichiara che la “scelta è tra libertà e Stato di diritto o un Paese di caos”. Sono invece le parole dell’astuto Elon Musk che rivelano meglio tutta l’ambiguità della posta in gioco delle prossime elezioni: “Serve la libertà di parola per avere la democrazia. Trump deve vincere per preservare la Costituzione e la democrazia!”. E gli interessi di quelli come lui.