Dick Marty era preoccupato dell’andamento della democrazia; anch’io lo sono. Oggi la democrazia liberale è messa in dubbio dal trasferimento di decisioni a livello sovranazionale, dall’aumento delle disuguaglianze, dalla corruzione dell’establishment e dalle tendenze autoritarie. Non solo, ma essa ha accumulato in modo impressionante debiti su debiti. L'Europa, in particolare, presenta una situazione preoccupante: il debito pubblico dell’Italia (2’755 miliardi di euro) è pari al 152% del PIL; la Francia con 2’400 miliardi è del 114%; la Spagna, del 117%; la Grecia, del 189% e il Portogallo, del 127%. In Svizzera, fortunatamente, andiamo meglio; ma la ministra delle Finanze ha recentemente espresso forti preoccupazioni sul futuro. Del resto, anche in Ticino si avverte preoccupazione sull’andamento delle finanze. Tutti gli schieramenti politici, da sinistra a destra e anche certi settori privati, considerano lo Stato come un alleato per esaudire le rispettive esigenze. Valga l’esempio del turismo in Svizzera, che negli ultimi trent’anni, al netto dell’inflazione, ha acquisito fondi pubblici triplicati. Ma quello che preoccupa sono le necessità di investimento per la riconversione energetica. I vari modelli macroeconomici ci dicono che, se a livello mondiale tutti fossero d’accordo con le indicazioni di Kyoto, avremmo un costo di circa 150 miliardi di dollari all’anno, cioè da due a tre volte l’aiuto annuo per lo sviluppo globale del Terzo mondo. Anche l’attuazione degli accordi di Parigi del 2015 porterà a una spesa globale annua per il 2030 fra 819 e 1’890 miliardi di dollari. Non sappiamo ancora se i risultati conseguiti saranno proporzionali agli investimenti previsti. Questi oneri lasciano però aperti alcuni interrogativi: avremo ancora risorse per lo sviluppo del Terzo mondo? I Paesi in via di sviluppo – le cui emissioni sono importanti – potranno permettersi di spendere trilioni in politiche climatiche efficaci? Una timida speranza potrebbe esserci, se la montagna di ricchezza inattiva che appartiene ai risparmiatori più facoltosi e alle aziende (si calcola che ci siano 5’100 miliardi di dollari fermi negli istituti di credito) venisse investita in attività produttive capaci di generare redditi e rilancio dell’economia.
Sul fronte politico sono purtroppo venuti meno i pilastri del modello sociale ed economico che hanno caratterizzato gran parte degli anni Ottanta e Novanta (lo Stato regolatore e il patto sociale). I dogmi di una globalizzazione senza regole hanno favorito una élite globale di plutocrati sempre più ricchi (negli gli USA il 10% dei più abbienti detiene l’87% degli attivi finanziari).
Secondo numerosi studi, i giovani manifestano sempre più la sfiducia in un futuro di stabilità e di prosperità. Ma nel corso della storia l’umanità è sempre riuscita a trovare delle soluzioni per non soccombere. Di fronte alle sfide incombenti – globalizzazione, rischi geopolitici, migrazioni, turbolenze sui mercati finanziari, crisi sociali, degrado ambientale – la democrazia potrà farvi fronte se saprà dotarsi di una classe politica competente, con visioni di lungo periodo, non soggette al consenso momentaneo. Governi inadeguati e politiche mediocri di corto respiro non potranno che portare all’indebolimento delle istituzioni e alla disillusione dei cittadini.