il ricordo

Dick Marty secondo me

(Ti-Press)

Era il 2014. In occasione di un’iniziativa comune avevamo scambiato qualche opinione e ci eravamo ripromessi di incontrarci appena i suoi numerosi impegni, in giro per il mondo, glielo avessero consentito. Poi gli anni sono passati e non è successo. Me ne dolgo.

Tante cose ho ammirato e poche cose oso dire di Dick Marty, uomo di grande cultura politica e giuridica. Alcuni tratti emergono, indissolubilmente legati all’attività di magistrato e di uomo politico. Come il rigore etico che, in un’epoca di politiche disumanizzate, ci ricorda che l’etica (ossia la disciplina del dovuto di ciascuno a tutti) deve essere, sempre, al centro dell’azione del politico. E mi vien da pensare all’affinità con quanto asseriva don Sturzo, un pensiero che certamente Dick Marty condivideva: “Non si corregge l’immoralità solo con le prediche e gli articoli di giornali. Bisogna che la prima a essere corretta sia la vita pubblica: ministri, deputati, sindaci, consiglieri comunali, cooperatori, sindacalisti diano l’esempio di amministrazione rigida e di osservanza fedele ai principi della moralità”.

In Dick Marty ho sempre avvertito una radicale condanna della politica del cinismo in cui le considerazioni di carattere geopolitico – gli interessi nazionali e i nazionalismi esasperati – generano insofferenze verso gli altri, chiusure e violenze. La condanna della politica “che ignora le persone”, il richiamo al rispetto dei diritti fondamentali e l’idea della politica come perseguimento del bene di tutti sono il filo conduttore, senza soluzione di continuità, dell’agire di Dick Marty magistrato e di Dick Marty politico: ne sono l’essenza, la condizione indissolubile.

Diciamolo apertamente, senza le ricorrenti ipocrisie di comodo: nel nostro piccolo Ticino (in cui “l’eccellenza è la mediocrità”, qui come altrove) il radicale Dick Marty, a me pare, non era molto amato da una parte non trascurabile della politica, soprattutto da quelli della “politique politicienne”. Anche in seno al suo partito, il suo rigore etico, la sua concezione assai critica di un certo modo di intendere la politica, la sua costante denuncia delle storture che compromettono il perseguimento del bene collettivo e della giustizia sociale, infastidivano, non erano sempre graditi e lo ponevano in posizione discosta. Dick Marty denunciava gli abusi delle multinazionali e di certi atteggiamenti del capitalismo predatorio e, quando occorreva, non risparmiava le critiche anche al suo partito, e gli altri tacevano; Dick Marty denunciava gli abusi e le derive di una certa politica sull’emigrazione, scarsamente lungimirante, poco attenta alla carta dei diritti umani e indifferente alle sofferenze altrui, e gli altri tacevano; Dick Marty scriveva che fra i diritti umani e quelli delle banche, dovevano essere i primi a prevalere, ed erano in tanti a tacere o a criticarlo a mezza voce.

Ribadiamolo: Dick Marty era un democratico liberale che intendeva la democrazia inscindibile dal principio di libertà: rimandava al pensiero di Norberto Bobbio rammentandoci che non ci può essere democrazia senza libertà e libertà senza democrazia. Quindi ecco la costante ricerca della giustizia sociale e la critica a una democrazia liberale che di fatto manifestava e manifesta una evidente discrepanza fra i dettami costituzionali che la sorreggono e la loro messa in opera da parte della politica; ed ecco ancora la denuncia del disimpegno e dell’indifferenza dei cittadini che assistono inerti, forse rassegnati, allo scivolamento verso forme illiberali incompatibili con lo Stato di diritto. “In verità, credo che denunciare l’ingiustizia, la corruzione, il malgoverno sia non solo un dovere di ogni cittadino – ci dice Dick Marty –, ma anche e soprattutto un atto di profondo attaccamento al proprio Paese, alla sua gente, al mondo nel quale viviamo”: come a dire che la democrazia liberale è una costruzione fragile, incline alle storture, e ha bisogno di una continua manutenzione e soprattutto della presenza di una cittadinanza attiva che contrasti le storture che ne compromettono l’esistenza. Oggi c’è chi minaccia il nostro ordinamento annullando la funzione dei parlamenti e c’è chi vuole esecutivi sempre più forti, e c’è chi – la destra illiberale – esalta il ricorso alla democrazia diretta per legittimare il potere di chi comanda: il che va bene – osserva Dick Marty – a condizione che i principi costituzionali dello Stato di diritto siano rispettati per evitare di cadere nella tirannia liberticida della maggioranza. Diciamolo: il popolo non ha sempre ragione, qualche volta ha torto, gli esempi abbondano.

Questi principi Dick Marty li ha fatti propri, strumenti di tutte le sue attività come politico e magistrato. E non è casuale che, a tutela dello Stato costituzionale di diritto, abbia auspicato la creazione di una Corte costituzionale, un tema scansato dai politici per paura di essere smentiti dal verdetto popolare.

Dick Marty, per concludere, ci propone una democrazia liberale che non si limiti ad amministrare il presente, ma una democrazia liberale in grado di progettare il futuro e di guardare alle future generazioni: di affrontare le sfide ambientali e climatiche, di attenuare le spaccature sociali e le ineguaglianze fra i popoli, di combattere le forme di capitalismo più ciniche e predatorie.

Sono, queste, alcune considerazioni parzialissime che più di tutto ho assimilato e ho fatto mie. Ma Dick Marty ci restituisce molto altro; ci fa riflettere, ad esempio, sui paradossi della collegialità elvetica, sui problemi della neutralità, sulla natura del federalismo e della democrazia svizzera: mette il dito nella piaga, Dick Marty, non per distruggere, ma per riparare e migliorare. Sarebbe utile discuterne.

Oggi, purtroppo, abbiamo perso l’uomo, sforziamoci di non perdere le sue idee.