La Scuola pubblica ticinese necessita di una profonda riforma. A mio parere il settore che ha prioritario bisogno di essere ripensato è quello del post obbligatorio; gli irrisolti crucci nell’impostazione della Scuola media sono in gran parte conseguenti a quanto attualmente richiesto al Liceo.
Al Liceo vige il mantra seguente. “Caro allievo, questa non è una scuola dell’obbligo, sei qui per tua scelta; ora arrangiati”. Questo dogma costituisce una fortezza inattaccabile che però si regge su fondamenta concepite per una realtà sociale obsoleta: quando il liceo era una scuola d’élite, riservata in massima parte ai rampolli delle buone famiglie. La storia dell’istruzione pubblica va di pari passo all’estendersi della democrazia. Per secoli l’istruzione fu appannaggio solo dell’aristocrazia e degli ecclesiastici. È solo a partire dal secondo dopoguerra (appena 80 anni orsono) che la Scuola pubblica è davvero accessibile a tutti non solo sulla carta. Nei primi anni 80 del secolo scorso, con l’unificazione della Scuola media, si fece un importante passo avanti verso la democratizzazione degli studi. Ora sono più di 40 anni che le Istituzioni scolastiche, al contrario del resto della società, marciano sul posto.
Oggi per molte carriere il liceo è di fatto un passaggio obbligato e lo sarà sempre di più in futuro. Regolarmente la società lamenta la carenza di profili professionali con alti livelli di specializzazione. Il Liceo è ancorato a una concezione ritenuta “selettiva”, ma che sarebbe più corretto definire “esclusiva”, specie nel senso che porta all’esclusione di troppi allievi, parecchi dei quali, con altri approcci pedagogici, raggiungerebbero posizioni professionali rispondenti tanto alle loro legittime aspirazioni, quanto a quelle della Società del XXI secolo che in (quasi) tutti i campi esige il conseguimento della “Maturità”.
L’allora consigliere di Stato Rossano Bervini alla fine degli anni 80 aveva avanzato l’esigenza di puntare a una “maturità per tutti”. I tempi sono ora maturi per approfondire questa idea. Da anni si ripete che al centro dell’insegnamento deve esserci l’allievo. È un’ovvia concezione che risale a pedagogisti di inizio ‘900 e che, almeno nella scuola obbligatoria, un po’ di strada l’ha percorsa. Non al Liceo però: sembra ci si scordi che anche il Liceo è una scuola pubblica, cioè di tutti, pagata da tutti e che dovrebbe rispondere alle esigenze di tutti.
L’azione pedagogica al liceo sulla carta è basata sui contenuti. Tutti sanno che invece a comandare è la nota. La dittatura della nota deturpa la relazione pedagogica: lo sforzo dell’allievo non è per l’apprendimento, bensì per la nota, quella che lui ritiene alla sua portata in quel momento con quel docente e che deve “fare media”. Il docente stesso è pesantemente condizionato nel suo agire dall’obbligo di valutare tutti allo stesso modo nel medesimo momento, perciò – con encomiabili eccezioni – lavora non tanto per trasmettere agli allievi entusiasmo e voglia di accedere alla bellezza della sua materia, ma tratta una certa parte di materia a suo modo (le competenze pedagogiche e didattiche di buona parte dei docenti sono notoriamente lacunose) sulla quale poi assegna verifiche che non hanno nulla di oggettivo: sono soggettive nelle modalità di somministrazione, nelle competenze richieste (un prof dà importanza a certe competenze e il suo collega di materia a tutt’altre), nei criteri di valutazione che sono molto diversi da un docente all’altro. Tutta questa serie di arbitrari punti di vista si riversa poi sulle “pagelle”, veri certificati che non di rado marchiano in modo indelebile il futuro di una persona.
Il pedagogista Daniele Novara parla di “giudizi implacabili” (sinonimo di “feroce, spietato”). A seguito di tutta questa rozza pedagogia vengono esclusi molti allievi che se fossero davvero messi al centro degli interventi didattici diventerebbero gli amministratori, i politici, i magistrati, i medici, i tecnici, i dirigenti aziendali di domani. Alcuni di questi esclusi riusciranno comunque a riscattarsi e a intraprendere quella strada che la ristretta visuale del Liceo gli aveva sbarrato. Sappiamo però che non pochi, di fronte agli scacchi subiti, rischiano di soccombere: privati della fiducia dei professori, a disagio al cospetto di compagni e genitori delusi, perdono l’autostima e si colpevolizzano. Chi rischia la depressione, chi dopo aver tentato vie lontane dalle sue aspirazioni abbandona del tutto gli studi. Non pochi di questi “esclusi” da un sistema insensato rischiano l’emarginazione sociale.
No, non si tratta di abbassare gli obiettivi, come troppi (anche docenti) ritengono quando si sollevano queste questioni. Il passaggio alla Suola media unica abbassò il livello? Assolutamente no: fu un balzo qualitativo notevole sia per l’istruzione pubblica che per la democrazia. È il contrario: si tratta di alzare l’impegno sul piano pedagogico e didattico e dunque anche organizzativo, per motivare tutti a raggiungere obiettivi qualitativamente sempre migliori.
Un primo approccio sarebbe quello di riflettere su un paio di concetti cardini della pedagogia: quello di “evoluzione” (evoluzione degli apprendimenti, e ancora di più evoluzione della persona allievo) che implica la necessità di scongiurare che momentanee e circoscritte difficoltà gravino sulla persona per sempre; l’altro verte sulla differenza fra “riuscita scolastica” e “apprendimento”. Io non imparai assolutamente nulla di fisica, ma avevo capito come “riuscire” a ottenere la sufficienza e la raggiunsi.
L’apprendimento va molto al di là della riuscita, che è anti-formativa e non di rado si regge su un mero esercizio di memoria che avulso da interesse, coinvolgimento dell’intelligenza, contesto e collegamenti (“apprendimento situato”) è destinato a evaporare.
Non è un segreto che attualmente avere delle “belle note” alla maturità liceale, solo in pochi fortunati casi – in genere non dovuti alla scuola – corrisponde anche ad avere acquisito un accettabile bagaglio culturale. Sarebbe finalmente ora che anche il Liceo, come lo si fece 40 anni fa per la Scuola media, diventi una scuola per tutti. Si tratta dunque certamente di alzare gli obiettivi e la qualità dell’istruzione pubblica (di tutti) a partire dalla formazione degli insegnanti, che deve essere massicciamente estesa.