Negli ultimi anni la popolazione svizzera nelle regioni di montagna è aumentata sensibilmente (Rete 2, 31 maggio). I motivi di questo incremento, in controtendenza rispetto agli anni precedenti, sono interessanti e riconducibili a diversi fattori: il Covid, il telelavoro, il bisogno di una vita meno frenetica ma anche i cambiamenti climatici.
Il tema merita alcune considerazioni. È evidente che nel nostro cantone non esistono metropoli invivibili e frenetiche: vivere a Lugano o a Tesserete, a Bellinzona o a Pianezzo non cambia molto. Il discorso è più complesso se allarghiamo il raggio d’azione. Fino a pochi anni fa i villaggi di montagna erano chiaramente penalizzati rispetto ai centri urbani: pochi posti di lavoro, scarse attività sociali e culturali, lunghi tempi di percorrenza per raggiungere i centri, scuole nelle vicinanze solo per il percorso obbligatorio.
Oggi non è più necessariamente così o, perlomeno, le cose stanno cambiando. A livello europeo è stato lanciato un Programma europeo interregionale Spazio Alpino – al quale partecipa anche la Svizzera – chiamato SmartVillages che ha come obiettivo quello di frenare lo spopolamento delle valli e dove possibile favorire nuovi insediamenti (https://www.alpine-space.eu).
Anche i villaggi alpini del Ticino possono inserirsi in questa tendenza a condizione di operare nella giusta direzione. Ecco alcuni punti che mi sembrano centrali.
Vie di comunicazione: in questa direzione si sono fatti negli ultimi anni passi importanti. Oggi, ad esempio, è possibile con i mezzi pubblici arrivare in centro a Bellinzona da Olivone in 55 minuti e in meno di 3 ore si può essere in centro a Zurigo. I trasporti pubblici sono competitivi con il trasporto privato, sia in termini di costi che di tempo, il che rappresenta un vantaggio.
Pianificazione: negli ultimi decenni in Ticino la pianificazione urbanistica e edilizia ha spesso snaturato molti villaggi alpini e dunque diventa urgente intervenire per provare a correggere la situazione. Il confronto con gli altri cantoni alpini è impietoso. Per recuperare il recuperabile è necessario intervenire subito perché nessuno decide di abitare in un posto “brutto” ma con intelligenza è ancora possibile intervenire.
Lavoro: riportare lavoro nelle periferie non è facile ma nemmeno impossibile perché grazie alle nuove tecnologie oggi è immaginabile lavorare quasi ovunque, a condizione di avere reti veloci e spazi a disposizione. Ad esempio, in Giappone hanno trasformato un piccolo villaggio, Kamiyama, di montagna in una mini Silicon Valley. Ma altre strade sono percorribili iniziando da un consolidamento delle attività artigianali e della valorizzazione dei prodotti del settore primario che deve abbandonare la quantità per la qualità.
Investimenti: le istituzioni pubbliche dovranno investire in un’ottica di medio periodo. In particolare, favorendo progetti edilizi (nuovi o recupero di edifici esistenti) a prezzi “politici” per i nuovi residenti. Ad esempio: prezzi vantaggiosi dei terreni a determinate condizioni (vincolo di residenza di 10 anni) oppure prestiti ipotecari a tassi preferenziali. Inoltre, sarà necessario costruire luoghi di lavoro comuni e spazi di condivisione per attività diverse. La cultura non è necessariamente una prerogativa dei grandi centri metropolitani. Anche nelle periferie è possibile fare cultura, seppure in forme diverse. Un’altra strategia per attirare nuovi abitanti può essere quella dei vantaggi fiscali limitati nel tempo e addirittura aiuti diretti come nel caso del villaggio vallesano di Albinen in Vallese.
Si tratta di un percorso difficile, ma non impossibile. Sempre più persone cercano uno stile di vita meno frenetico a contatto con la natura, dove crescere i figli o passare gli ultimi anni di vita. Affinché questo avvenga sono necessari dei cambiamenti culturali da parte della popolazione residente e soprattutto un nuovo approccio agli investimenti pubblici. È inutile puntare sempre sul turismo che spesso si traduce in un movimento di giornata che non lascia ricadute significative, mentre è più interessante puntare sullo sviluppo di servizi in linea con l’evoluzione della nostra società. Solo in questo modo le regioni periferiche potranno avere un futuro, in primo luogo per la popolazione già presente, ma anche grazie a nuovi arrivi. Se questo processo decollerà, poi inevitabilmente si autoalimenterà.