Pur restando ampiamente la regione più popolata del cantone, gli abitanti calano. Due testimonianze e l’analisi di un esperto per leggere il fenomeno
Il lustro perduto. Dal profilo demografico, il periodo dal 2016 al 2021 per il Sottoceneri è da dimenticare. Pur restando la regione più popolata del cantone – il Luganese da solo ha la stessa popolazione dell’intero Sopraceneri –, entrambi i distretti meridionali hanno perso abitanti: più di 2’000. Un dato tutto sommato contenuto, certo, ma che si ripete ormai da anni e crea preoccupazione. E soprattutto, un dato che stride con l’aumento, seppur esiguo, del Sopraceneri. Tuttavia, analizzando i dati comune per comune, appare evidente che non tutti soffrono neanche nel Sottoceneri. Il grosso problema sembra essere infatti in due dei tre centri urbani: Lugano e Chiasso, che hanno perso rispettivamente 1’300 e 600 abitanti in cinque anni. E se Mendrisio regge, vi sono per contro realtà molto più dinamiche, principalmente nel Luganese: Capriasca, che si avvicina ai 7’000 abitanti, e soprattutto Paradiso, che nel 2011 contava 3’600 abitanti, diventati 4’400 dieci anni dopo: il 21% in più.
Il fenomeno quindi è composito e, in base alle prime proiezioni, potremmo essere ai piedi di un’inversione di rotta. Per capire meglio questo sottile declino demografico e queste grosse variazioni all’interno della stessa regione abbiamo da un lato raccolto due testimonianze di persone che hanno lasciato le città, Lugano e Chiasso nello specifico, per capire i motivi alle origini del trasferimento e d’altro canto abbiamo interpellato il professor Gian Paolo Torricelli, responsabile dell’Osservatorio dello sviluppo territoriale e docente di geografia urbana all’Accademia di architettura di Mendrisio.
«Ci siamo trasferiti perché eravamo stanchi della città. Sono nata e cresciuta a Lugano – racconta Fiorella Molinari Anzalone –, in pieno centro: corso Pestalozzi. E a Lugano, a Besso, ho vissuto per dieci anni con mio marito. A un certo punto abbiamo sentito l’esigenza di avere un giardino. Siamo sempre stati amanti del verde, il Malcantone in particolare ci è sempre piaciuto, così abbiamo traslocato a Monteggio». Il verde della città non vi bastava? «No, per le nostre esigenze no. E poi, avevamo bisogno di più contatto umano». Non è paradossale, con tutte le persone che vivono in città? «Sì, lo è, però è così: nessuno per strada ti saluta. Qui invece, anche se non ci si conosce, ci si saluta. Può sembrare una banalità, ma non lo è. È una questione di qualità di vita e qui trovo che sia più alta che a Lugano». Per chi è nato e cresciuto a Lugano, non è stato un distacco un po’ doloroso? «No, assolutamente. Avevo voglia di una dimensione diversa, Lugano l’ho vista molto cambiare negli anni. Quando abbiamo maturato la decisione di andarcene, a Besso c’era il problema dello spaccio di droga: rientravo a casa la sera e girando l’angolo mi trovavo davanti uno spacciatore. Non era per nulla simpatico. Comunque a Lugano ho mantenuto i medici e dopo il trasloco ho continuato a lavorare in città». Da Monteggio è lunga... «due ore e mezza di auto al giorno, fra andata e ritorno. Partivo da casa alle 6.15 e rientravo alle 18.30. Però per me ne valeva la pena: quando rientravo ero felice».
A Lugano, c’è poi un problema di costo degli immobili. «Ci siamo spostati quando ci è capitata l’occasione di comprare questa casa». A Lugano non l’avete cercata? «Trovare qualcosa sotto gli 800’000 franchi è praticamente impossibile». Oggi, con un po’ di distacco come la vede la città? «Non vado volentieri. È davvero cambiata tanto, ci sono molte costruzioni nuove, si perdono i punti di riferimenti. Poi questi bar e negozi che aprono e dopo pochi mesi chiudono già, non aiutano. Ci vado solo se costretta. La decisione che abbiamo preso era proprio quella giusta. Pur essendo la mia città, a Lugano non ci tornerei più: non è più la mia dimensione».
Per certi versi simile è anche la storia di Costante Ghielmetti, che oggi vive a Ponte Capriasca. Il punto di partenza è anche un centro città, ma non di Lugano: «Sono cresciuto a Chiasso, in via Lavizzari». Il primo trasferimento, molti anni fa, è stato a Berna «per motivi professionali. Dopo che è nata la prima dei due figli, mia moglie e io abbiamo deciso di tornare in Ticino, vista l’elevata qualità di vita che offre». E perché a Ponte Capriasca? «Sono cresciuto in un palazzo, un classico appartamento al terzo piano con due balconi. Volevo quindi un contesto meno urbano. Avendo trovato lavoro a Lugano, abbiamo optato per un comune con un’elevata qualità di vita e che avrebbe permesso di integrarci più facilmente rispetto alla città più anonima e che non mi apparteneva».
E come mai non tornare a Chiasso? «Oltre alla questione del contesto meno urbano, Lugano è il centro economico del Ticino: vivere a Chiasso e lavorare a Lugano si fa, ma che impatto avrebbe avuto sulla nostra qualità di vita? La Capriasca e i comuni della zona invece sono bellissimi e geograficamente posizionati in modo ottimale». Anche se a livello di moltiplicatore d’imposta ci sono comuni più attrattivi? «Esatto. Non è quello che condiziona determinate decisioni. Credo si debba andare a vivere dove si ha il piacere di farlo, non dove si pagano meno imposte». E il rapporto con la cittadina d’origine invece qual è? «Amo profondamente Chiasso. È la classica località di confine, quindi con la vivacità che la caratterizza, sebbene oggi quest’aspetto si sia in parte perso, è stata estremamente viva. Quando aveva 54 sportelli bancari, Chiasso era una città che pulsava». E oggi tornerebbe a viverci? «Adesso, come tutti i chiassesi espatriati, ci sono molto affezionato...».
Fiorella e Costante hanno fatto le loro scelte, che non rimpiangono. Per i centri urbani, tuttavia, potrebbe esserci all’orizzonte una svolta. Per meglio leggere le caratteristiche del fenomeno che sta interessando il Sottoceneri e per le prospettive, ci siamo rivolti a un esperto.
«Dal 2016 al 2020 vi è una diminuzione media di circa 800 persone all’anno nel Sottoceneri – avverte il professor Gian Paolo Torricelli –. Dobbiamo considerare che viviamo in un preciso contesto, al centro dell’Europa tra due spazi metropolitani molto attrattivi, Milano e Zurigo. Mi spiego: 30 anni fa i grandi centri perdevano popolazione, un ammanco che si riversava sulle periferie e gli spazi periurbani che conoscevano ritmi di crescita superiori. Dall’inizio degli anni Duemila, con nuovi investimenti, le grandi città, come appunto Zurigo o Milano, sono invece diventate prima molto attrattive, poi gigantesche calamite per le giovani generazioni, generando negli anni 2010 opportunità di formazione, di impiego e di svago molto più rapidamente delle città intermedie. Nel Ticino, come anche in altri ‘poli esterni’ delle aree metropolitane, spieghiamo questo declino demografico da un lato con il calo della natalità e dall’altro con le partenze di giovani adulti verso le metropoli, alla ricerca di migliori retribuzioni. Infatti il problema più grande da noi è rappresentato da salari troppo bassi in molti settori economici. Così, per i giovani residenti in Ticino, Zurigo e le altre città elvetiche sono diventate più attrattive e questo sicuramente anche grazie alla galleria di base del San Gottardo, inaugurata proprio a fine 2016».
Come commentare, invece, la denatalità? «In Ticino il tasso di natalità, già all’inizio degli anni Duemila, era strutturalmente sotto di due punti rispetto a quello dei principali cantoni elvetici, ma anche inferiore alle province di Como, Milano o Varese. Si fanno pochi figli e la popolazione anziana aumenta, tuttavia l’incremento naturale della popolazione è superiore nel Sopraceneri, soprattutto negli agglomerati di Locarno e Bellinzona, dove si avvicina alla media svizzera».
Veniamo a qualche dato concreto. Il comune di Paradiso è in controtendenza. Come si spiega? «Quello che si può dire è che oggi laddove si costruiscono appartamenti nuovi, si crea sì nuovo sfitto ma la popolazione di solito aumenta, in controtendenza rispetto alla media. Ed è il caso di Paradiso che ha moderni appartamenti in riva al lago che attirano residenti benestanti; è pure il caso di Capriasca, sebbene il comune morfologicamente sia formato da villaggi con un borgo in mezzo e dunque vigono altri fenomeni, ad esempio politiche sociali e del tempo libero lungimiranti». Guardando al Mendrisiotto, che cosa si può argomentare? «Nel Mendrisiotto ci sono situazioni più estreme dal profilo demografico, in alcune aree laddove i giovani e le famiglie hanno avuto tendenza a partire i quartieri sono ‘invecchiati’. Questo a lungo andare può avere effetti negativi, poiché con meno giovani e meno adulti ci può essere il rischio di un abbassamento della qualità di vita per chi rimane. L’invecchiamento lo abbiamo da 30 anni e conosciamo i tassi più alti della Svizzera. Questo è strutturale. Ma adesso con la partenza di giovani e adulti, c’è un più forte incremento del peso delle persone anziane sulla società. Anche questo è una conseguenza del declino demografico».
A ottobre all’Università di Lugano lei ha partecipato al ‘Convegno sulla sfida demografica: il malessere del Canton Ticino’, organizzato da Coscienza Svizzera. A quali conclusioni si è giunti? «Sono soprattutto i politici che devono prendere coscienza del problema demografico. Se non riusciamo ad attirare giovani, nuove idee e occasioni di crescita, il calo demografico proseguirà. Il cambio di marcia? La politica degli sgravi fiscali concessi alle ditte che venivano dall’estero a installarsi in Ticino, a partire dalla seconda metà degli anni 1990, è stata una scelta a mio avviso poco lungimirante, perché non sono arrivati posti di lavoro, bensì impieghi per frontalieri spesso sottopagati. E questo ha prodotto un abbassamento del livello generale dei salari. Oggi, un frontaliere se decidesse di risiedere in Ticino non avrebbe un tornaconto economico; lo ha invece vivendo in Italia, dove gran parte di quanto guadagna in Svizzera può metterlo in un mutuo per costruirsi la casa». L’esodo dei ticinesi si direziona solo oltre Gottardo e non verso l’Italia? «Ritengo che persone formate siano ben interessate a spostarsi a Milano. Qui per i dirigenti delle grandi società (banche, assicurazioni, multinazionali) vigono salari internazionali, confrontabili a quelli di Parigi, Londra o Zurigo, ciò che non è il caso per altre professioni del terziario. Però i giovani ticinesi frequentano Milano molto più rispetto alla mia generazione, non sarei stupito di un numero sempre maggiore di persone che dal Ticino si reca quotidianamente a Milano. Anche per lavoro».
Confrontare il Ticino con il Vallese appare pertinente in termini demografici? «Sì. Sono abbastanza simili». Ma per quale motivo, tra il 2016 e il 2020, in Ticino si è registrato un calo demografico, mentre in Vallese una crescita di quasi 13’000 anime? «Il Vallese ha una natalità più elevata del Ticino e in più negli ultimi anni è riuscito a captare nuovi flussi di popolazione. Il Cantone ha scommesso sulle nuove tecnologie e su piccoli centri di ricerca decentrati del Politecnico federale di Losanna. L’Alto Vallese non è solo un’area turistica di prim’ordine, ma anche industriale. Oggi il principio attivo del vaccino Moderna è prodotto a Visp. Non da ultimo il Vallese da alcuni anni attira residenti da Ginevra e da Vaud, sia pensionati in località di villeggiatura, ma anche residenti pendolari negli agglomerati urbani di fondovalle, facendo leva su prezzi immobiliari più accessibili».
E la lingua non è un ostacolo per chi intende trasferirsi oltre Gottardo? «L’inglese diventa uno standard anche da noi e quindi la lingua diventa soprattutto un’opportunità culturale. Noi dobbiamo investire molto di più sulla cultura, sulla valorizzazione del paesaggio e nella protezione dell’ambiente. È qui che risiede il futuro del Ticino, per offrire una qualità di vita superiore alle metropoli. Al convegno di ottobre ho evidenziato in conclusione che in Ticino abbiamo due problemi: il declino demografico e il Covid, che non passerà rapidamente. Ma il Covid – qualcosa di imprevisto che irrompe nella società a livello globale – possiamo trasformarlo da “cigno nero” in opportunità: nel 2020 l’attrattiva per le metropoli è diminuita. Con o dopo il Covid – lo misureremo fra qualche anno – le metropoli non avranno forse più tassi di crescita come prima: la popolazione ora tenderebbe a spostarsi in luoghi più periferici e meno densi con rischi minori di contagio. La ‘Città Ticino’ è un piccolo sistema urbano distribuito in uno spazio sufficientemente grande ed è molto ben connessa con gli spazi metropolitani: se prima questa posizione geografica era considerata uno svantaggio, oggi invece può rappresentare un atout, almeno per la residenza. Un segnale in questo senso c’è. Infatti, se a fine 2020 si potevano contare 350’986 residenti, nel terzo trimestre 2021 il computo era di 351’714 (secondo le rilevazioni trimestrali dell’Ufficio federale di statistica). Probabilmente, dopo cinque anni di diminuzione, nel 2021, la popolazione in Ticino crescerà di nuovo. Effetto probabile del Covid. Se è certamente prematuro parlare di inversione di tendenza, occorre però pensare e realizzare politiche e misure per rendere più attrattivo il Ticino, facilitando l’insediamento di giovani in grado di far nascere nuove attività. In ogni campo».