Ho accolto con sorpresa e rammarico i propositi del granconsigliere Omar Balli nei confronti del Museo che da oltre un ventennio ho il piacere di presiedere. Il contesto era la puntata del 2 maggio di Matrioska su Teleticino dal titolo ‘Salari, risparmi e ripicche’. Riferendosi alla critica situazione finanziaria del Cantone, il deputato leghista ha identificato nella cultura uno dei settori dove trovare margini di risparmio, auspicando che per ogni franco speso ci si chieda se ne vale la pena. Con un certo fervore ha portato l’esempio del Museo delle Centovalli dove a suo dire, a fronte di costi per fr. 240'000.-, le entrate sarebbero di soli fr. 10'000.-, concludendo che “qui qualcosa non va”.
Lasciando ad altri ricordare il valore della cultura per una società, desidero apportare alcune necessarie precisazioni. Balli inizia confondendo il budget del Museo con il sussidio dello Stato (che è di un terzo), per poi parlare di “entrate” (incasso da vendita biglietti e visite?) dando prova di non conoscere forse la differenza tra un museo regionale e un’azienda. Noi non vendiamo prodotti o servizi. La nostra missione è quella di proporre un’offerta culturale variata che coinvolga il più gran numero di persone. Per noi, ad esempio, ciò che più conta è che ogni anno ci siano centinaia di bambini e ragazzi che visitino il Museo, apprendendo e confrontandosi così con la storia del nostro Paese, non fare cassa.
Queste imprecisioni sorprendono, oltre tutto se il nostro non è soltanto il Museo regionale delle Centovalli, come citato da Balli, ma anche del Pedemonte. Sono così comprese quelle Terre di cui egli è municipale da molti anni e che, come da nostro statuto, sono altresì rappresentate nel consiglio di fondazione del Museo.
A sorprendere, e a deludere, c’è però anche un’evidente non conoscenza del ruolo di un museo etnografico oggi. È infatti bene ricordare che il Ticino non ha creato un museo di storia ed etnografia cantonale, scegliendo invece mediante un’apposita legge di sostenere e promuovere l’attività dei musei regionali che “documentano, studiano e valorizzano le tradizioni e la cultura del mondo popolare, contadino e artigiano ticinesi”.
Gli undici musei etnografici in Ticino sono oggi degli attori vivi che partecipano in maniera proattiva alla vita socio-culturale dei comprensori a cui fanno riferimento, continuando allo stesso tempo ad assicurare la raccolta, la cura e la conservazione di collezioni di oggetti, documenti, fotografie e testimonianze immateriali da trasmettere ai posteri. Per questo ruolo a favore dell’intero Cantone, lo Stato stanzia annualmente fr. 880'000.- che vengono suddivisi tra i musei riconosciuti e con i quali sottoscrive dei dettagliati contratti di prestazione. Facendo spesso i salti mortali, i musei si adoperano poi a trovare le restanti risorse per assolvere alla propria missione dando vita a mostre, ricerche, pubblicazioni, eventi socio-culturali di vario genere, raccolta e conservazione di collezioni rappresentative del nostro passato, attività didattiche, mediazione culturale, interventi di restauro ecc.
Beninteso, queste attività non generano utili da ascrivere a conto economico, dimostrando una volta di più che in ambito culturale è necessario avere un approccio diverso.
In conclusione, conscio che un deputato in Gran Consiglio agisca nell’interesse dell’intero Cantone e non propugni il comprensorio dal quale proviene (anche se questo si trova in una regione periferica con tutti i suoi limiti e bisogni), mi limito a dire, caro Omar, che ogni franco speso per far vivere i nostri musei etnografici secondo noi ne vale la pena.