I tempi sono cambiati e le Ffs non sono più quelle di una volta. Cronaca di un tragitto andata e ritorno da Zurigo a Bellinzona.
"Viaggio in treno, viaggio sereno", titolava una famosa pubblicità di qualche anno fa. Ma i tempi sono cambiati e le Ffs non sono più quelle di una volta. Sabato 4 febbraio mi reco da Zurigo a Bellinzona. Qualche giorno prima sul cellulare ho acquistato un biglietto regolare d’andata (con partenza alle 9.33) e un biglietto di risparmio di ritorno (con partenza alle 22.17). Arrivo alla stazione in anticipo e mi accorgo che il treno è già pieno. Inizialmente stupita, mi rendo poi conto che si tratta di turisti che approfittano del primo giorno delle vacanze scolastiche (appena cominciate in alcuni cantoni) per spostarsi a sud. Essendo sola riesco ad accaparrarmi un posto. Dopo di me arrivano decine e decine di altre persone. Quando partiamo, in piedi ne restano circa una dozzina per vagone. A Zugo il marciapiede brulica. Sale una famiglia spagnola che, guarda caso, ha prenotato proprio i posti nello scompartimento in cui mi trovo io. Se qualcuno o qualcosa – il personale, il sistema elettronico – avesse segnalato la prenotazione, io e gli altri passeggeri non ci saremmo di sicuro seduti lì.
Ci alziamo sconsolati. A poco serve la voce dall’altoparlante che invita la gente a non occupare i sedili con i bagagli: nessuno lo fa quando il treno è strapieno. Fino ad Arth-Goldau me ne sto in piedi all’entrata del vagone. Quando il treno si ferma alla stazione e alcuni scendono, tento di prendere un posto lì vicino, ma un signore più veloce occupa due sedili. Gentilmente mi mostra però quello che la moglie ha appena liberato per stare vicina a lui. Correndo lo conquisto. Per tutta la tratta di controllori neppure l’ombra. Forse temono le lamentele della clientela. Perché, anche se le Ffs sembrano dimenticarsene, visto il trattamento da bestiame in corsa verso il macello, clientela pagante siamo e rispetto meritiamo, senza contare che le vacanze iniziano svariate volte all’anno, sempre in date conosciute. Come mai nelle giornate di punta non vengano organizzati treni supplementari rimane un mistero.
Al ritorno l’app sul cellulare mi avverte che il treno è in ritardo. È un trenino corto corto quello che mi aspetta fermo e il ritardo non si è creato in Italia – secondo la giustificazione standard – ma all’interno della stazione di Bellinzona, per un problema tecnico. Quando finalmente partiamo e imbuchiamo il tunnel del San Gottardo la carrozza si mette a ballare come su un mare in tempesta. Non appena usciamo indenni dal tunnel, non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo che una voce dall’altoparlante ci annuncia che ad Arth-Goldau il treno in coincidenza non ci aspetterà. Dovremo prendere un regionale fino a Zugo e da lì un altro fino a Zurigo. Mi preoccupo un po’, visto che il biglietto di risparmio è legato a una tratta precisa e cambiando potrei incorrere in una multa, nel caso incontrassi controllori ignari dei ritardi. La sorte me la manda buona e giungo senza incidenti a Zugo, da dove mi arrangio per trovare l’ultima coincidenza. A Zurigo l’orologio segna mezzanotte e mezza. Salgo in bici e pedalo verso casa. Per scelta non possiedo un’auto.