Il 27 gennaio è il giorno della Memoria, il 30 ricorre il 90esimo anniversario dell’ascesa al potere di Hitler. Fondamentale la ‘lezione di Weimar’
Nella primavera del 1938, Adolf Hitler scese in Italia per incontrare l’amico Mussolini, il quale allestì un programma sontuoso, con al centro una visita guidata alle bellezze artistiche e architettoniche del Belpaese. Ad accompagnare i due dittatori nel loro itinerario culturale, i ministeri romani chiamarono uno studioso illustre, l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli. Quell’esperienza, accettata con riluttanza, fu poi raccontata nel 1948 in un libro intitolato ‘Dal diario di un borghese’, edito da Mondadori. Nel frattempo Bianchi Bandinelli aveva aderito al Pci.
I tratti fisici e caratteriali del Duce non gli erano evidentemente ignoti, il ritratto è sarcastico: "Cammina come un burattino, con curve e mosse oblique del capo, che vorrebbero mitigare la sua massiccità, ma sono soltanto goffe e sinistre. Chiude gli occhi, sorride, fa continuamente una commedia puerile". Il Führer invece non spicca per brillantezza; anzi, l’impressione che trasmette è quella di un personaggio dimesso, "composto, ordinato; quasi modesto. Quasi servile, anche. Una personalità di aspetto subordinato: qualche cosa come un controllore del tram. Viso vizzo".
Nel 1938 Mussolini era al potere fin dall’ottobre del 1922; più breve la carriera di Hitler, la cui ascesa era stata però molto più fulminea e spietata. Nominato cancelliere del Reich il 30 gennaio del 1933, dunque giusto novant’anni fa, l’"imbianchino" d’origine austriaca fece strame delle istituzioni liberali in un battibaleno, liquidando nel giro di pochi mesi quel che restava della Repubblica di Weimar. Già dopo l’incendio del Reichstag, nel febbraio del 1933, Hitler emanò norme che mettevano fuori legge non solo l’opposizione (comunisti, socialdemocratici, repubblicani), ma tutto il corredo di diritti presenti nella costituzione weimariana promulgata nel 1919, a cominciare dalla libertà di stampa e di riunione.
Da decenni gli storici si interrogano sulle ragioni di questa rapida e pressoché incontrastata presa del potere da parte dei nazisti, in una Germania che poteva vantare, negli anni Venti, una serie di primati invidiabili, sia nel campo delle scienze (teoriche e applicate), sia nel vasto universo delle arti, della musica, della letteratura, del teatro, della filosofia. Molti osservatori consideravano Berlino, e non più Parigi, la vera capitale della cultura europea. Una vitalità espressa anche dalla società civile, nei raduni popolari e nelle iniziative sportive che mobilitavano migliaia di cittadini, con in prima fila i giovani e le donne. Ma tutto questo non bastò per impedire il tracollo e l’inizio di una nuova era sotto la croce uncinata del partito nazionalsocialista. Evidentemente in un angolo buio della repubblica un rettile velenoso aveva deposto un uovo («das Schlangenei») che pian piano avrebbe sovvertito l’ordinamento democratico. Cosa conteneva quest’uovo? Diversi elementi. In primo luogo l’esercito, uscito sconfitto dalla grande guerra ma ancora capace di condizionare la classe politica d’ispirazione monarchica e antisocialista; poi gli industriali e la nobiltà di antico lignaggio, assieme a larghe fasce della popolazione piagate da un’inflazione che divorava i magri redditi; poi governi che non riuscivano a dare stabilità al Paese, squassato peraltro da continui disordini e scontri nelle piazze; e infine un proletariato esposto alla propaganda che addossava alla comunità ebraica tutti i mali che affliggevano il Paese.
Sappiamo com’è andata, e com’è finita, con un continente in macerie. Per questo è importante continuare a chiedersi come sia stata possibile questa caduta nella barbarie. Raccogliere le testimonianze dei superstiti della "soluzione finale", come accade ogni 27 gennaio (liberazione del campo di Auschwitz), è dovere di ogni coscienza civile, ma non basta: l’uovo del serpente va esplorato e sezionato in tutte le sue parti, per capire come funzionano gli enzimi della crescita e per isolare le proteine malate. Fuor di metafora, è compito di tutte le componenti della società – dalla scuola ai media, dai partiti alle associazioni civiche – segnalare i pericoli che minano alla base le istituzioni liberal-democratiche. Quelli palesi e quelli più subdoli. Ripassare la "lezione di Weimar" è fondamentale, con un occhio alla storia e l’altro alle derive contemporanee, alle quali non sfuggono nemmeno le democrazie più mature e che tutti noi credevamo immuni da ogni tentazione autoritaria.