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L’utilitarismo degli ideali

In un lungo articolo apparso sul settimanale Das Magazin a fine novembre, la giornalista Anita Blumer si chiede come sia possibile creare una società non solo più ecologica e attenta ai bisogni degli altri, ma anche più felice. Per trovare possibili risposte la giornalista riporta le riflessioni di filosofi, economisti, biologi, politologi e attivisti e giunge ad alcune conclusioni: che nel raggiungimento della felicità le relazioni con gli altri giocano un ruolo fondamentale, mentre il benessere materiale viene spesso sopravvalutato; che l’infinita libertà di scelta del mondo moderno ci illude di poter risolvere ogni problema in modo individuale; che le collettività in cui domina la coesione sono maggiormente in grado di superare le crisi; che spesso la gente comune è più progressista dei politici, attenti soprattutto ad auto-perpetuarsi; che se si crede nell’impegno di chi ci sta attorno, automaticamente ci si impegna di più; che una società del riciclo può consentirci di lavorare meno creando tante microeconomie parallele (per es. lavorando tre giorni in ufficio e utilizzando gli altri due per coltivare il proprio orto o fare il proprio pane). La Blumer conclude che immaginare di rinunciare a una parte del benessere a cui siamo abituati giustamente spaventa, ma che riducendo il capitale finanziario forse si potrà aumentare quello umano.

Tutte belle teorie? Sembrerebbe di no. Nella Svizzera tedesca qualcuno, senza bisogno di aspettare lente riforme politiche, sta già ponendo le basi di una possibile nuova società. Nel settore dell’artigianato sta per esempio avvenendo una mini rivoluzione: in un numero crescente di piccole e medie imprese si assiste all’introduzione della settimana di quattro giorni. Se all’inizio a smuovere le acque non sono stati grandi ideali di uguaglianza e di giustizia, bensì l’esigenza di attirare manodopera in settori carenti come quello elettrico o sanitario, ora l’esperimento sta soddisfacendo non solo i dipendenti, ma anche i dirigenti, che si accorgono di aver creato un ambiente lavorativo più piacevole, con personale più motivato, senza perdite finanziarie né qualitative. Gli esempi non finiscono qui: nella regione di Winterthur c’è il proprietario di un food truck che sta conducendo un esperimento al limite della legalità, consentendo ai propri clienti di pagare ciò che vogliono per panini e hamburger. La legge richiederebbe infatti che i prezzi venissero esposti. Solo se i prodotti vengono offerti anche gratis è consentito rinunciare all’esposizione dei prezzi. In effetti a volte capita che qualche pasto venga regalato a chi di soldi non ne ha. Ovviamente, come sottolinea il titolare, l’idea non è quella di fare beneficenza, ma di guadagnare, cosa che finora non ha mai costituito un problema, visto che se c’è chi dà meno, c’è anche chi dà di più. A quanto pare, una volta concretizzati, gli ideali di generosità e cura del prossimo possono anche funzionare.