La libertà è senz’altro il precetto politico più difficile da gestire. Sia quando ci si batte per la copertina di "Charlie Hebdo" su Maometto o si difende l’onore nazionale per la forchetta e gli spaghetti italiani messi in mano a Liz Truss dall’"Economist", o di riconoscere alle donne la scelta di procreare e il dovere per tutti di farsi vaccinare.
Quando poi il valore fondante della libertà si accoppia con il principio politico della neutralità – per la Svizzera, "permanente" –, le scelte dei governanti diventano davvero complicate e difficili da spiegare all’opinione pubblica. Il Consiglio federale ha così dovuto invocare la difesa – "senza compromessi possibili" – della democrazia e dei diritti umani davanti a un’"aggressione militare… senza precedenti in Europa dalla Seconda guerra mondiale" che minaccia la nostra sicurezza nazionale, per giustificare l’adozione delle diverse sanzioni dell’Ue contro la Russia. Berna si è successivamente anche allineata alle recenti sanzioni europee contro un’azienda e tre alti militari iraniani responsabili della fornitura dei droni kamikaze usati contro l’Ucraina.
A questa neutralità solidale in nome della libertà, che si ferma solo davanti alle forniture militari, non fa tuttavia riscontro un’altrettanto sostanziale solidarietà con le donne e gli uomini che si battono pacificamente per i loro diritti e si fanno massacrare da settimane in tutte le città iraniane. La Svizzera non adotterà così le nuove sanzioni dell’Ue contro il regime di Teheran. Di fatto, il diritto alla libertà della persona non varrebbe quanto quello di uno Stato sovrano (se europeo, soprattutto) e passa senz’altro in second’ordine rispetto ai "buoni uffici" prestati da Berna quale "potenza protettrice" di Washington e Riad a Teheran e dell’Iran stesso in Arabia Saudita, in Canada e in Egitto.
Impossibile immaginare una Svizzera militarmente neutrale, secondo la formula restrittiva richiamata dal Consiglio federale in occasione dell’applicazione delle sanzioni occidentali, ma anche permanentemente solidale nella difesa della libertà dei popoli? I buoni uffici da noi prestati a Paesi in conflitto sono certamente una preziosa risorsa della nostra diplomazia, ma la nostra immagine e quindi il ruolo internazionale, unico, che ci viene attribuito è quello di Paese neutrale, sì, ma che sta invariabilmente "dalla parte della pace, della democrazia, dei diritti umani e del diritto internazionale".
Va ricordato che, quando si tratta di difendere tali diritti in casa nostra, Berna non arretra di regola davanti ad alcuna offerta di buoni uffici. Proprio nei confronti dell’Iran, nel quale la Svizzera si accingeva a rappresentare gli interessi americani, il Consiglio federale si rifiutò, nel 1980, d’applicare le sanzioni economiche extraterritoriali che Washington impose per ottenere la liberazione degli ostaggi della sua ambasciata occupata. Né gli Usa né la Repubblica islamica attribuirono d’altronde a questa posizione elvetica un particolare significato diplomatico.
Alla reticenza pubblicamente dimostrata da Berna davanti agli ultimi eventi iraniani, può però anche esser data un’altra interpretazione, che soddisferebbe un po’ tutti. Può darsi che la nostra diplomazia veda già nella radicale rivolta del popolo iraniano i segni di una prossima rivoluzione contro la Repubblica islamica stessa, come parecchi specialisti vanno ormai dicendo. In tal caso, in gioco non ci sarebbe più solo la libertà, ma il potere dello Stato iraniano e la nostra neutralità potrebbe esser così fatta legittimamente valere.