C’è una differenza fra paura e terrore nelle dittature, di qualunque colore esse siano. Le decine di milioni di giovani della classe media in Cina, disperando ormai di riuscire a mantenere e migliorare il loro stile di vita, non scendono in piazza. Da qualche anno, questi neo-hippy cinesi rifiutano il culto del lavoro e la competizione sociale e in tanti "restano sdraiati", rivendicando il loro "diritto all’ozio", di lavorare il meno possibile e di non aver figli, approfittando della vita così com’è.
Ma quando la paura del regime diventa terrore, può scattare la disperazione e il coraggio di reagire. Le donne iraniane, di religione sciita o sunnita, credenti o no, persiane, curde o baluce manifestano non più per chiedere il rispetto dei risultati elettorali come nel 2009 o per protestare con le difficoltà economiche come nel 2019, ma per riconquistare le libertà che i khomeinisti hanno tolto 43 anni fa.
Il blocco di potere che conduce la repressione nella Repubblica islamica fa capo al clero militante integralista e ai guardiani della rivoluzione, i pasdaran, che detengono ormai tutte le fila politiche, amministrative ed economiche della società iraniana. La solidità del regime è però assicurata anche da altri miliziani armati che si fanno carico del rispetto dell’ordine islamico pubblico e privato, e da un’alleanza burocratica-affaristica che approfitta largamente delle sanzioni occidentali in vigore da anni. La "guida suprema" Khamenei con suo figlio Mojtaba e il sanguinario ex giudice diventato presidente, Raisi, ne sono l’espressione più conseguente.
Ci sarebbero dunque tutte le ragioni di una crisi "morale" del regime, ma non è contro la corruzione che si battono le donne e i giovani nelle città, ne va ormai innanzitutto dell’insopportabile sanguinaria repressione d’ogni espressione di libertà individuale. Il regime stesso, legittimando il terrore in nome della religione, ne ha fatto – ancor più che della sua incapacità ad assicurare il benessere della popolazione – il suo tratto fondamentale e più caratteristico.
Le donne iraniane, togliendosi il foulard e immolandosi da settimane nelle strade di tutto il paese, vogliono scrollarsi di dosso non solo il regime che ne fa cittadine di seconda classe, ma anche un sistema ideologico di cui l’"hijab" è l’emblema più evidente. Ma è soprattutto il feroce integralismo che non è più sopportabile: il "suffragio popolare", che i primi rivoluzionari avevano a fatica ottenuto da Khomeini d’inserire nella costituzione della Repubblica islamica, si è subito rivelato una farsa della dittatura. La determinazione delle donne e il purtroppo temibile successo del potere nel reprimerle sono le due facce del terrore che ancora si mantiene in Iran. Solo se un’organizzazione politica di riferimento prendesse in mano la rivolta ormai diffusa dappertutto o gli "uomini" dell’industria petroliera del paese entrassero in sciopero sfilando così il tappeto di dollari che mantiene in piedi la dittatura islamica le cose potrebbero andare diversamente.