Vince sempre il Partito degli Affari: la Svizzera è molto indietro nella lotta al riciclaggio e alle cripto-truffe
Truffe, attacchi informatici, società fasulle, gestori disonesti, criptomonete. Per qualche star della politica, la soluzione è semplice: aumentare le pene per i criminali in colletto bianco. Si tratta di un approccio semplicistico di natura preelettorale. È invece stato un approccio globale quello che ha ispirato il Controllo Federale delle Finanze (Cdf), l’importante Ufficio che verifica, sul piano finanziario e dell’efficienza, tutte le attività dell’elefantiaca Amministrazione federale: ha avviato un lavoro di ricerca sul terreno presso i principali attori della Confederazione e dei Cantoni, che diede luogo a una serie di raccomandazioni concrete e puntuali. Il risultato è stato pubblicato in un rapporto di sintesi delle verifiche effettuate dal Cdf, intitolato "Lotta contro la criminalità economica".
Nel 2014 ero stato incaricato dal Cdf di allestire una perizia riguardante l’efficacia della lotta contro la criminalità economica in Svizzera. Piuttosto che produrre le solite centinaia di pagine descrivendo il fenomeno, avevamo lanciato a Berna tutta una serie di confronti diretti con i rappresentanti delle associazioni professionali e dei principali uffici della Confederazione e dei Cantoni, ai quali avevamo sottoposto una lista di questioni critiche. Nella lista degli esperti avevo menzionato tutte quelle personalità proattive sparpagliate nel nostro bel Paese, con le quali avevo avuto il piacere di collaborare durante la mia carriera professionale. Ne era scaturita tutta una serie di piste sotto il cappello dell’approccio globale, che ha fatto l’oggetto di una valorizzazione fra il 2015 e il 2021, grazie a 16 verifiche di efficienza condotte dagli esperti del Cdf. Risultato concreto: sono state emesse 74 raccomandazioni, di cui 30 sono ancora aperte, mentre una ventina è già stata messa in opera da parte degli Uffici federali ispezionati.
Nel quadro di questo lavoro di straordinaria ampiezza, il Cdf ha scontato anche qualche rifiuto, ciò che è normale anche in altri settori, nell’ambito di ricerche del genere. Per esempio, il Consiglio federale aveva rifiutato una parte delle raccomandazioni di miglioramento riguardanti la sensibilizzazione alla lotta contro la corruzione. Si trattava di rafforzare l’efficienza del Gruppo di lavoro interdipartimentale anticorruzione, che era stato istituito nel 2008 a seguito di numerose raccomandazioni da parte del Greco (Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa), di cui la Svizzera fa parte. Da parte sua, il Tribunale penale federale si era opposto a estendere il suo contributo nell’ambito di un programma di collaborazione con il Ministero pubblico della Confederazione e con l’Ufficio federale di Polizia, per l’entrata nell’era della gestione elettronica della documentazione e degli incarti procedurali. Allo stesso tempo, l’Ufficio federale di giustizia aveva ampiamente respinto quattro raccomandazioni formulate dal Cdf per migliorare l’efficienza e la velocità della cooperazione internazionale in materia penale, dal punto di vista della sua esecuzione e della sua vigilanza.
La chiave di volta di questo immenso lavoro di verifica fu quella dell’approccio globale. Una volta per tutte bisognava rovesciare il mito della repressione, secondo il quale la lotta contro la criminalità economica viene monopolizzata soltanto dalle autorità giudiziarie penali, tanto più che sono sovraccariche e spesso addirittura paralizzate proprio a causa della gestione delle inchieste sulle frodi colossali che continuano ad abusare del sistema bancario e finanziario svizzero.
Ecco pertanto che il Cdf ha criticato, fra l’altro, la carenza di vigilanza presso il Registro di commercio, dal momento che non conduce nessuna verifica riguardo al registro delle azioni delle società anonime, in modo che sia aggiornato e che permetta di accertare l’identità degli aventi diritto economico di tutte le società commerciali svizzere iscritte a Registro. Il Cdf ha criticato il fatto che le basi attuali non permettano ancora ai funzionari del Registro di commercio di procedere a controlli specifici, quando sospettano che il cambiamento del nome oppure degli organi di una società commerciale siano da mettere in relazione a un comportamento illecito. Questo tipo di controllo sarebbe utile per prevenire le centinaia di fallimenti fraudolenti.
A questo stesso scopo, il Cdf ha raccomandato la messa in rete a livello nazionale di tutte le banche dati degli Uffici di esecuzioni per debiti e di fallimenti, allo scopo di assicurare l’integrità dei dati di tutti i debitori. Non è sfuggita alle critiche del Cdf anche l’Autorità di vigilanza sulle fondazioni di pubblica utilità (in Svizzera ne erano registrate 13’075, dichiarando un patrimonio di più di 100 miliardi di franchi): "Una sorveglianza frammentaria e lacunosa, a cui si accompagna la mancanza di trasparenza fiscale".
Il peggio però è stato riscontrato nell’ambito della lotta contro il riciclaggio, dove il principio di celerità non è stato rispettato sistematicamente da parte dei professionisti sottoposti alla Legge federale antiriciclaggio. Sappiamo che il primo gennaio 2023 entrerà in vigore soltanto una mini-revisione di questa legge, dal momento che il Parlamento ha rifiutato di accogliere tutte le raccomandazioni espresse a livello internazionale da parte del Gafi, agenzia antiriciclaggio dell’Ocse.
Del resto, la storia lo dimostra: il Parlamento svizzero e il Consiglio federale non hanno mai preso spontaneamente la benché minima iniziativa per migliorare la lotta contro il riciclaggio, ma si sono mossi sempre e solo su richiesta delle organizzazioni internazionali.
Il peggio però si ritrova nell’ambito della criminalità informatica, laddove le infrazioni a danno di enti pubblici, di aziende e di privati continuano ad aumentare. Già nel rapporto molto dettagliato pubblicato in ottobre 2018 da parte del Gruppo interdipartimentale di coordinazione per la lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo (National Risk Assessment / Nrs) erano state descritte ampiamente le carenze del sistema svizzero riguardo alla diffusione delle criptovalute, sia a livello della prevenzione, che a livello della repressione.
Le relative raccomandazioni sono ben lungi dall’essere state messe in opera. La Svizzera avrebbe potuto valorizzare la sua reputazione internazionale di professionalità e di indipendenza, creando un Centro internazionale di sicurezza informatica. Ma il Partito degli Affari ha vinto ancora una volta, creando in Svizzera dei poli di attrazione ambiti dai cripto-truffatori.
Questo articolo è comparso in francese sulla Tribune de Genève