La riforma Avs 21 su cui voteremo il 25 settembre vuole far lavorare le donne un anno in più e privarle di 26’000 franchi di rendita. È uno schiaffo in faccia alle donne che già oggi ricevono pensioni di un terzo inferiori a quelle degli uomini. Per questo, prima di qualsiasi innalzamento dell’età pensionabile delle donne, è fondamentale risolvere il problema della parità salariale e quello di una giusta valorizzazione del lavoro non retribuito prestato soprattutto dalle donne che lavorano spesso a tempo parziale.
L’innalzamento dell’età pensionabile delle donne, ma anche degli uomini, se da un lato ha un senso per quelle professioni fisicamente meno logoranti in un contesto di aumento della speranza di vita, non è però ragionevole in termini d’impiego nell’attuale mercato del lavoro. Già oggi un anno prima del pensionamento, solo la metà delle persone ha un impiego. Le prospettive sul mercato del lavoro sono purtroppo scarse: pochi datori di lavoro danno una possibilità ai disoccupati più anziani. L’innalzamento dell’età di pensionamento spingerà quindi ancora più persone nella disoccupazione di lunga durata e nell’assistenza sociale dopo anni di lavoro e impegno nel mercato del lavoro. Infine sembra una beffa rilevare che con Avs 21 dovremo pagare più Iva subendo comunque un taglio delle rendite.
Ricordo che l’Iva rimane una delle tasse meno sociali visto che viene applicata a pioggia sui beni di consumo, quindi indistintamente dalle possibilità finanziarie di ogni consumatore o consumatrice. L’aumento dell’Iva ridurrà ulteriormente il potere d’acquisto dei cittadini e delle cittadine in questi tempi inflazionistici in cui siamo già confrontati con aumenti praticamente in ogni ambito.
Per tutti questi motivi voterò un chiaro No alla riforma Avs 21.