La migrazione cinese verso l’Africa subsahariana è motivo di preoccupazione per l’occidente, che vede la Cina prendere il posto degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell’Europa come forza dominante post-coloniale. Questa migrazione cinese nel continente africano subsahariano è spesso descritta come una "invasione" o "incursione", ma l’uso eccessivo di questi termini promuove una percezione esagerata della presenza cinese nell’Africa subsahariana, caratterizzata da un’elevata mobilità.
La moderna immigrazione dalla Cina all’Africa subsahariana è sorta sotto Mao Zedong alla fine degli anni 50. Durante questo periodo l’ideologia comunista di Mao condusse la Cina nell’Africa subsahariana per motivi puramente politici, avendo come filo conduttore la solidarietà con i nuovi paesi indipendenti, molti dei quali furono ufficialmente riconosciuti dalla Repubblica Popolare Cinese. I cinesi rimarranno quindi alcuni mesi o addirittura diversi anni su suolo africano subsahariano lavorando in vari campi: agricoltura, tecnologia, infrastrutture sanitarie. Numerosi studiosi ritengono che ci siano due approcci possibili: il primo ritiene che questa presenza cinese abbia un impatto molto positivo; il secondo approccio sostiene al contrario che questa presenza non apporti alcun valore aggiunto qualitativo alle popolazioni che frequenta, ma al contrario abbia un impatto negativo sulla società. Lo studio di McKinsey Africa rileva che il coinvolgimento cinese in Africa è molto più diversificato di quanto suggerito da studi precedenti.
Questo studio, condotto in otto paesi che rappresentano circa i due terzi del Pil dell’Africa subsahariana, rileva che il numero di società private e la quantità d’investimenti che fanno nell’Africa subsahariana stanno aumentando simultaneamente, portando la diaspora cinese a fare dell’Africa subsahariana una delle nazioni più economicamente rappresentative. Tuttavia lo stesso rapporto descrive alcuni limiti di queste attività commerciali cinesi che rallentano la vera crescita delle economie. Infatti le organizzazioni di commercianti e industriali locali vedono la presenza cinese come una minaccia per la quale non erano preparati. Queste organizzazioni denunciano la concorrenza sleale perché i cinesi hanno rilevato la vendita diretta di piccole imprese (camicie, scarpe, giocattoli, vari piccoli accessori).
Nel 2014 in Ghana molti fornitori ghanesi di scarpe cinesi (Rocky Shoes, Manager Shoes e Royal Shoes) hanno dovuto interrompere le loro attività a causa di questa concorrenza sleale. Inoltre il carattere criminale e mafioso di alcuni residenti cinesi che svolgono attività di contrabbando ben organizzate sta diventando sempre più ricorrente. Anche per prevenire, in un futuro non così remoto, la prevedibile trasmissione di una più diffusa instabilità, se aumentasse la divaricazione fra masse giovanili e capacità delle economie subsahariane. Che nessuno riuscirebbe a limitare alle sole nazioni africane.