laR+ I dibattiti

Social ed elezioni

(Ti-Press)

Riflessioni a inizio campagna elettorale.

I partiti politici, piaccia o no, hanno sempre svolto l’importante ruolo di mediazione tra popolo e poteri (eletti). È questa la politica democratica. Non l’appello di qualche leader a un presunto intero popolo che non si sa bene su quale base dovrebbe pensarla esattamente come loro. Oggi però pare si voglia fare a meno di detta mediazione che era comunque fatta da uomini che incontravano uomini (in comizi, assemblee, piazze). Si lascia più facilmente che sia un dispositivo elettronico (smartphone, iPad, Pc unito ai Social media) ad assumere il ruolo di virtuale mediatore.

Questa preferenza si fonda su alcune false illusioni: crediamo di poter controllare il nostro dispositivo considerandolo privo di coscienza e neutrale, segnatamente da interferenze esterne. Un po’ come il vecchio: "Se lo dice la radio...". Alla stessa stregua ci piacciono di più i selfie (magari ritoccati) piuttosto che le foto scattateci da altri. Convinti di poterci arrangiare da soli, di sapere cosa è meglio e giusto, di sapere e non necessitare qualche parere esperto, convinti che gli esperti siano tutti complottisti. Prevale il fai da te. Come d’altronde prevale con l’e-banking, le ordinazioni online che ci privano della consulenza e del contatto con impiegati e commessi. L’altro, l’alterità non ci serve. O meglio, tale è l’illusione. In un’epoca dove i beni comuni (sicurezza, acqua, gas, elettricità, ambiente, biodiversità) dovrebbero prevalere, stiamo ancora ancorati al peggior individualismo in voga negli ultimi decenni di neoliberismo.

A questo cambiamento sociologico si sono adeguati anche i politici, oso pensare più "scaltri", i quali non amano farsi intervistare da testate tv o giornalistiche indipendenti che non possono controllare, e perciò spesso denigrano, tendendo a ridurne i mezzi finanziari; la pluralità delle idee a loro non piace. Essi preferiscono comunicare ciascuno sui propri canali social o di apparato. Sui social non è richiesta par condicio e non bisogna ascoltare la risposta dell’altro. Sui social si può bloccare chi non la pensa uguale, si può rispondere senza discutere. Il tempo che passa tra domanda e risposta inibisce la costruzione di una dialettica che resta rallentata o disinnescata. Ciò non può avvenire in un pubblico dibattito, dal vivo. Così si cercano adepti fedeli più che elettori critici. Di questo passo il semplice cittadino non potrà formarsi una idea sulla base di un confronto e dall’altro lato i partiti avranno sempre meno dei programmi politici o di legislatura con un coordinamento e una visione a medio e lungo termine.

I programmi oggi lasciano lo spazio a slogan del momento, sulla base di sondaggi, emozioni del momento (Fukushima = no al nucleare; guerra Russia-Ucraina = sì al nucleare). Le sacrosante vie di mezzo e i tempi di riflessione sono merce poco spendibile. I programmi politici devono invece tornare a essere un’immaginazione temporale e sociale su un futuro più o meno immediato. Devono essere compatti, non facilmente sminuzzabili in una breve campagna elettorale. Se l’altro, l’avversario politico non conta nulla, non vale nulla, chi vincerà le elezioni come potrà sostenere e risultare credibile quando racconterà che ha a cuore il futuro dei giovani, dell’ambiente, dell’economia e dei senza lavoro? Se l’altro non serve a nessuno, come potrà chi andrà al governo badare all’altro e immaginare un mondo per gli altri a venire?

Senza abitudine alla discussione, sarà possibile riconoscere le differenze e scegliere? Non è una questione emotiva, o logica, ma pratica. Il visibile senza la cornice di uno schermo è più politico del visibile nella cornice di uno schermo. Nonostante dagli schermi tutti dobbiamo passare perché è innegabile che li abbiamo costruiti per favorire le relazioni (telefono), per regalarci tempo o per colmare disagi territoriali (radio e tv nazionali), come per l’intelligenza artificiale, non possiamo permetterci di farci dominare. È nostalgia di tribuna politica e delusione.