La legge sull’approvvigionamento elettrico ha lo scopo di creare le condizioni per garantire un approvvigionamento di energia elettrica sicuro e un mercato dell’elettricità orientato alla competitività. Lo fa essenzialmente garantendo a tutti gli utenti l’accesso alla rete. Sia l’acquisizione di energia elettrica che la gestione della capacità di generazione sono invece lasciate agli operatori privati, con la Confederazione che interverrebbe solamente se l’approvvigionamento fosse "notevolmente minacciato a medio o lungo termine".
Secondo l’Ufficio federale dell’energia, la responsabilità della fornitura spetta alle aziende di approvvigionamento energetico. Esse riforniscono i consumatori finali liberi (consumatori finali con un consumo annuale di almeno 100 MWh) sulla base di contratti di diritto privato. Gli operatori privati di peso (Axpo, Alpiq e Bkw) sono dunque liberi di agire sul mercato: di fatto essi devono sì onorare i loro contratti, ma senza alcun obbligo a sottoscriverne per l’approvvigionamento della Svizzera. Pur essendo in mani pubbliche, con la grande maggioranza delle azioni in mano a Cantoni e Città, Axpo, Alpiq e Bkw sembrano agire come se i loro consigli d’amministrazione avessero perso di vista gli obiettivi degli azionisti che rappresentano e sono attivi soprattutto all’estero.
Emblematica la presa di posizione della signora Suzanne Thoma, Ceo di Bkw, quando affermò che l’investimento del Canton Berna, azionista di maggioranza in Bkw, faceva pesare un rischio immenso sulle spalle dei contribuenti, aggiungendo che non sarebbe ragionevole per i poteri pubblici rimanere nel settore. Paradossale anche la notizia di Alpiq che, dopo aver annunciato di voler salvare l’idroelettrico svizzero a fine 2015, nel 2016 voleva "liberarsi" del 49% dell’idroelettrico in suo possesso. Di Alpiq pure la proposta di cessione delle centrali nucleari di Gösgen e Leibstadt (dapprima a EdF, poi alla Confederazione) al prezzo di un franco.
Tutti segnali di un malessere che il settore fatica a lasciarsi alle spalle. Alpiq ha appena annunciato importanti perdite (592 milioni nel primo semestre), aggiungendo che "sono di natura temporanea e saranno interamente rimborsate al momento della consegna dell’energia", ciò che è plausibile, visto l’andamento del mercato, ma tutt’altro che certo. I dati consolidati del periodo 2011-21 indicano una perdita complessiva di 4,419 miliardi, con risultati positivi in solamente tre degli anni presi in considerazione. Una situazione inimmaginabile nel settore privato. Nel pubblico invece, con consigli d’amministrazione politici, questo andazzo è accettato e addirittura promosso: nel 2019 l’ex Ceo di Alpiq, Jasmin Staiblin, ha guadagnato 1,9 milioni di franchi, ma non ha lavorato per l’azienda neppure un’ora. Una bella somma se si pensa che Alpiq ha chiuso quell’anno con un disavanzo di 268 milioni!
Intanto il settore effettua importanti investimenti all’estero poiché, come afferma Axpo nel suo rendiconto 2021, "le condizioni quadro per il necessario sviluppo delle rinnovabili in Svizzera sono insufficienti". Sembrano invece essere sufficienti le riserve necessarie per sottoscrivere una moltitudine di rischiosi Ppa (accordi di fornitura di energia elettrica a lungo termine), approdando addirittura negli Usa. Da tutto questo "business" l’approvvigionamento del nostro Paese non trae alcun profitto, però quando va male si corre da mamma Elvezia a chiedere miliardi.
Riorientare i "big" del settore e i loro investimenti dovrebbe dunque essere tra gli obiettivi prioritari della politica: al contrario della riesumazione del nucleare, potrebbe dare frutti in tempi relativamente brevi e a costi sostenibili. E occorre farlo in fretta, perché il nucleare francese su cui facciamo affidamento sta cadendo a pezzi.