I dibattiti

A chi in parlamento interessa davvero la giustizia?

Discettiamo da anni del modo migliore per designare i magistrati e intanto la situazione non migliora, peggiora. Se il diritto non è certo nulla è stabile

Natalia Ferrara

All’inaugurazione dell’anno giudiziario, lo scorso venerdì 3 giugno, si è tornati a parlare della nomina dei Magistrati, della necessità di badare alla competenza e rinunciare al criterio della ripartizione partitica. Il tema preoccupa a tal punto che da decenni se ne ragiona senza esito e intanto, per fare l’ultimo esempio, la Commissione preposta, nonostante qualche singolo membro di buona volontà, pare non essere in grado di proporre per tempo al Parlamento chi sostituirà una procuratrice che lascia la carica a giorni e che ha rassegnato le dimissioni sei mesi or sono.

Viene in mente la famosa locuzione "mentre a Roma si discute, Sagunto brucia" che ha oltre 2000 anni ma si attaglia benissimo alla nostra situazione. Che il sistema attuale di designazione sia arrivato al capolinea, mi pare evidente, e altrettanto che i vari cerotti via via applicati non stiano dando i risultati sperati. Penso tuttavia che si debba passare dal tema del metodo a quello del merito, smettendo di immaginare soluzioni invece di affrontare i problemi. Vale per l’autorità di nomina ma anche all’interno della magistratura dove riformare i flussi di lavoro è come scalare l’Everest senza i guanti alle mani e con le infradito ai piedi. Molto si può dire, ma la sostanza sta in una domanda semplice: che valore diamo davvero alla giustizia? Il resto consegue, perché se si reputa che qualcosa sia importante sul serio, per prima cosa lo si affida solo a persone all’altezza e, secondariamente, lo si libera di tutti i fardelli, senza timore di scontentare. L’obiettivo diventa la giustizia di e per tutti, non la scelta di far posto all’uno o all’altro di questo o quel partito.

Purtroppo, chi non si cura della giustizia come bene collettivo, dimentica che se essa non è autorevole e celere il danno per la società, l’economia e il buon funzionamento dello Stato in generale, può essere irreparabile. Mentre si discute di sicurezza e (finalmente!) del rischio di infiltrazioni mafiose in Svizzera e in Ticino, le autorità penali cantonali faticano anche solo a garantire il minimo indispensabile. E ciò mentre non pochi addetti ai lavori, magistrati ma anche ispettori e commissari di Polizia giudiziaria, fanno gli straordinari in permanenza fino a quando iniziano (e giustamente!) a domandarsi chi glielo fa fare e a tirare i classici remi in barca. Questa situazione ha un prezzo che pagano le migliaia di persone che, soffrendo, attendono per anni decisioni giudiziarie dalle quali dipende il loro futuro. Parlo tanto di vittime di un reato quanto di presunti autori poi risultati innocenti. In molti, come sorprendersene, perdono fiducia nella giustizia, con gravi conseguenze. Invece di denunciare tacciono, invece di lottare si rassegnano, invece di rispettare le leggi credono che convenga farsi furbi. Chi non riceve risposta dalle istituzioni cessa anche di rispettarle. Se il diritto non è certo nulla è stabile, e addio Svizzera della sicurezza e del benessere! Sembra un quadro pessimistico ma non lo è, e forse per questo ai concorsi in magistratura non c’è ressa e troppo pochi si chiedono come mai…

È tutto qui, nella giustizia come e persino più che altrove: se non si cercano con ostinazione i profili più adatti e non si riformano le modalità di lavoro in modo da favorirli il danno è garantito.

Non esistono soluzioni facili ai problemi difficili, lo sanno bene specialmente coloro che sono di cultura liberale, ma il tempo, se ce ne resta, stringe. Discettiamo da anni del modo migliore per designare i magistrati e intanto la situazione non solo non migliora, peggiora. Ci domandiamo se venga prima l’uovo o la gallina, ovvero se ci vogliano prime le risorse o prime le riforme organizzative, mentre servono contestualmente e di pari coraggiosa ampiezza.

E così, appunto, mentre a Roma si discute, Sagunto brucia. Che tristezza.