Perché siamo razzisti? Le ragioni per cui una persona può adottare comportamenti o ideologie razziste sono molteplici e possono essere socio-economiche, psicosociali, storiche o politiche.
In generale, sembra che il razzismo oggi non corrisponda più necessariamente a una profonda convinzione di appartenere a una razza superiore. Piuttosto, è paura e preoccupazione per qualcuno che è diverso da te e che non può essere capito. Il razzismo è quando arrivi a rifiutare, disprezzare, escludere l’altro. Il razzismo può anche essere una reazione all’insicurezza percepita: ho paura che l’altro prenda il mio posto, o abbia gli stessi o più vantaggi di me.
Può anche accadere che ci si senta superiore, come svizzero rispetto agli stranieri, come straniero stabilito legalmente in Svizzera nei confronti dei richiedenti asilo, e tutto questo, più o meno consapevolmente.
Tra le principali cause del razzismo possiamo citare il rifiuto della diversità, l’incapacità di accettare gli altri. Non dobbiamo trascurare nemmeno il ruolo dell’educazione che ci dice cosa dovremmo essere e cos’è la "normalità" e che costituisce il cemento dei nostri riferimenti culturali e relazionali e della costruzione del nostro sistema di valori. Aprirsi significa accettare l’incertezza, mettere in discussione le proprie convinzioni, che possono essere inquietanti e destabilizzanti.
Per combattere il razzismo, dovremmo quindi ‘disimparare’ per capire meglio?
Come molte fonti attestano, una presenza nera al di fuori dell’Africa esisteva molto prima dell’inizio della schiavitù. In realtà "Le Noir" fu inventato nel XV secolo dai colonizzatori occidentali e ridotto in schiavitù grazie alla legittimazione intellettuale di scienziati e sacerdoti dell’epoca. I pregiudizi attuali hanno radici profonde e sono ancora oggi veicolati da molti media. Per fortuna il continente africano subsahariano sta diventando sempre più consapevole della sua forza e sta registrando, al di là delle sue tante sfide, innegabili successi. La dispersione del mondo nero non iniziò quindi né con la schiavitù né con la tratta degli schiavi, ma già a partire dalla preistoria.
Per legittimare l’avventura coloniale, antropologi, etnologi, politologi, economisti e naturalisti come Buffon e alcuni ambienti ecclesiastici, attraverso il mito della dannazione di Cham, hanno costruito un’immagine dell’uomo nero selvaggio, ignorante, parassitario, pigro, bonario, incapace da solo di guidare il suo destino. Abbiamo anche visto illustri rappresentanti dell’Illuminismo, come Montesquieu, legittimare la tratta degli schiavi e altri, come Voltaire, investire i loro beni nel commercio del legno d’ebano. Come possiamo stupirci, dopo di ciò, che gli ambienti razzisti, sfruttando le scene d’immigrazione che vediamo alla televisione, così come gli eccessi o la goffaggine di questa o quella comunità araba o d’Africa subsahariana, portino avanti una politica di esclusione, di discriminazione, di disprezzo culturale, denunciati anche da Léopold Sédar Senghor?
Oggi la lotta degli africani subsahariani sta ribaltando tutte le immagini di Epinal veicolate da decenni. L’Africa subsahariana sta riconoscendo sempre più la sua forza e sta registrando crescenti successi tanto che, in virtù di ciò, nessuno pensa più di emarginarla, né di demonizzarla ulteriormente. Oggi, nei circoli dei politologi-futurologi più credibili d’Occidente si osa persino dire che il continente africano subsahariano potrebbe essere il continente del Ventesimo secolo.