"Rallentare prima di sbattere", è il monito di Morisoli. L’ideatore dell’omonimo decreto e i suoi seguaci (una risicata maggioranza parlamentare) chiedono che il Cantone raggiunga il pareggio dei conti entro la fine del 2025. È ironico che sia proprio la destra borghese, da anni assidua promotrice di sgravi fiscali per le persone più facoltose, a preoccuparsi dello stato di salute delle finanze cantonali: tagliare – sì, perché (in)direttamente è questo che comporta contenere il debito "agendo prioritariamente sulla spesa pubblica" – per finanziare i regali fiscali ai più ricchi?
Insomma, una rigidità fiscale a geometria variabile che, oltretutto, mette in evidenza una concezione miope di debito pubblico. Dipingerlo come fardello per le prossime generazioni significa ignorare gli effetti benefici che le stesse possono trarre da investimenti statali in ambiti cruciali quali l’ambiente, la socialità, la sanità e l’istruzione. In altre parole: se non affrontiamo di petto le grandi sfide con cui siamo confrontati/e – transizione ecologica, digitalizzazione e invecchiamento demografico – minacciamo il nostro benessere, presente e futuro. Senza dimenticare che un congelamento della spesa impedisce di rispondere in maniera adeguata alla precarizzazione di un mercato del lavoro poco protetto come quello ticinese. Ma un disimpegno statale non andrebbe a colpire unicamente le fasce più vulnerabili della popolazione residente, bensì tutto il ceto medio, confrontato a breve-medio termine anche con l’inflazione e il rincaro energetico occasionati dalla guerra in Ucraina.
L’austerità non è mai la soluzione, tantomeno quando i sacrifici vanno a gravare sulle spalle della popolazione. Domenica votiamo un No convinto a questo sconsiderato e squilibrato pareggio di bilancio.