Oggi tutti ammirano il popolo ucraino per la sua eroica resistenza contro l’invasione russa, ma non è forse il caso di riflettere sul perché si è giunti a tanto e, soprattutto, chiedersi se questo sbocco tragico era inevitabile? Molte delle analisi che i commentatori spiegano a mezzo stampa o Tv sono incentrate sul ruolo del presidente Putin. Due mi sembrano le posizioni che si confrontano sulla figura e sull’operato di Putin e che tentano di rispondere alle due domande. Una sostiene che il presidente russo voglia ricostituire l’impero russo, che include l’Ucraina e che questo sia un obiettivo al cui raggiungimento si prepara da quando è arrivato al potere nel 1999. Secondo questa visione, Putin rappresenta per la pace in Europa una minaccia alla quale non abbiamo colpevolmente voluto credere, fino a quando non vi siamo stati costretti dall’evidenza dei fatti. I legami economici che abbiamo intessuto in questi anni sono stati imprudenti e ora dobbiamo disfarcene il più presto possibile.
A questa tesi non aderisco, perché i fatti mi sembrano contraddirla. Per suffragare questa tesi si fa spesso riferimento all’affermazione di Putin secondo cui la scomparsa dell’Unione Sovietica sarebbe stata la più grande tragedia geopolitica del XX secolo. Aggiungeva però: chiunque la volesse ricostituire sarebbe senza cervello. Mi sembra piuttosto che la politica del presidente russo si sia evoluta nel tempo, sotto la spinta degli eventi che l’hanno condotto a diffidare sempre più dei suoi interlocutori occidentali, Stati Uniti in primis. Invito i miei lettori che mi vogliono seguire oltre, ad ascoltare il discorso da lui tenuto a Monaco nel 2007 (reperibile su YouTube con traduzione simultanea in italiano) nel quale rimproverava giustamente gli occidentali di non rispettare i principi del diritto internazionale (era chiaro il riferimento all’aggressione statunitense all’Iraq del 2003), cosa che viene rimproverata a lui oggi (aggressione all’Ucraina). E gli interventi della Nato senza mandato Onu in Jugoslavia, Libia, Siria erano ancora di là da venire. Nello stesso discorso avvertiva che l’estensione a est della Nato, per la Russia sarebbe stata una provocazione. Scandagliando Internet si può trovare molta spazzatura ma, con la dovuta prudenza quanto all’attendibilità delle fonti, si possono trovare anche documenti interessanti. Uno di questi è una recente intervista di Maurice Gourdault-Montagne, consigliere speciale del presidente Chirac dal 2002 al 2007. Su mandato di Chirac, dopo la guerra in Iraq, aveva sottoposto al consigliere diplomatico del presidente russo una bozza di piano di protezione incrociata di un’Ucraina neutrale, da parte sia della Russia sia della Nato. Questo piano avrebbe permesso alla Russia di preservare la sua sicurezza e di mantenere la base militare navale di Sebastopoli, mentre la Crimea sarebbe rimasta all’Ucraina, che avrebbe così mantenuto la sua integrità territoriale. Quando, su invito del consigliere russo il collega francese sottopose il piano a Condoleezza Rice, allora Segretaria di Stato di George Bush jr, si sentì rispondere: "Voi Francesi siete proprio bravi: avete ritardato l’adesione della prima ondata di paesi nella Nato, non fermerete la seconda ondata", risposta che più chiara non si può sulle intenzioni espansioniste degli Stati Uniti. Alla riunione Nato di Bucarest del 2008 Bush propose infatti l’entrata dell’Ucraina e della Georgia nell’Alleanza, ma Francia, Italia e Germania votarono contro. Se questi paesi invece di una opposizione molle, avessero mantenuto negli anni successivi un rifiuto netto della proposta, oggi probabilmente l’Ucraina non sarebbe vittima di una guerra. Ci si potrebbe chiedere per quali ragioni gli europei siano così timorosi di opporsi alla volontà di Washington anche a costo di non difendere i loro interessi. Infatti, a subire i contraccolpi del conflitto, oltre evidentemente agli Ucraini, sono molto più gli Europei che gli Statunitensi, i quali anzi ci venderanno il loro orrendo gas di fratturazione, con necessità di liquefazione, trasporto su nave e successiva rigassificazione, a prezzo ben maggiore del gas russo che ci giunge via gasdotto. Oltretutto, per ottenere questo gas, l’Ue ha inconcepibilmente concesso il ripristino del flusso (illegale) di dati informatici con gli Usa, che era stato bloccato qualche anno fa poiché gli Stati Uniti furono dichiarati "paese non sicuro" (spiavano di tutto, perfino i cellulari della Merkel e di Hollande). È bene ricordare l’episodio riferito dal consigliere di Chirac, perché permette di gettare una luce sugli eventi successivi che hanno condotto alla tragica conclusione attuale. Essi spiegano anche i due tentativi degli Usa, in assenza di una rapida adesione dell’Ucraina alla Nato, di attirare a ogni costo il paese nel proprio campo con la rivoluzione "colorata" del 2004 e soprattutto con la rivolta di Maidan nel 2014. Per ben due volte un presidente non ostile alla Russia, regolarmente eletto, è stato costretto a dimettersi da rivolte di piazza, a dimostrazione delle difficoltà di tenere unito un paese diviso tra una parte occidentale risolutamente antirussa, e una orientale non ostile alla Russia. Oggi queste differenze, di fronte alla necessità di resistere all’aggressione, sono stemperate. Che ne sarà di questa bella unità, alla fine del conflitto, di fronte alla constatazione che l’ovest antirusso è stato in gran parte risparmiato dalle devastazioni, mentre l’est le ha subite in pieno? Qualcuno si chiederà se non è stato commesso qualche errore che si sarebbe potuto evitare e se qualcuno non ha dovuto pagare più degli altri? Non ho una risposta, ma la domanda è legittima. Un richiamo agli eventi più recenti che hanno preceduto immediatamente la guerra è pure opportuno. Questi dimostrano che fino all’ultimo la Russia ha cercato di evitare il conflitto. Lo ha ricordato Putin il 21 febbraio 2022, tre giorni primo dell’inizio dell’invasione, in un lungo discorso alla nazione, dal quale estraggo alcuni stralci. "Kiev ha da tempo proclamato un percorso strategico per l’adesione alla Nato. In effetti ogni paese ha il diritto di scegliere il proprio sistema di sicurezza e di stipulare alleanze militari. Non ci sarebbero problemi con questo, se non fosse per un ‘ma’. I documenti internazionali sanciscono espressamente il principio della sicurezza uguale e indivisibile, che include l’obbligo di non rafforzare la propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati. Ciò è affermato nella Carta Osce per la sicurezza europea del 1999 adottata a Istanbul e nella Dichiarazione Osce di Astana del 2010". "Già nel 2008 la Russia aveva lanciato un’iniziativa per concludere un Trattato di sicurezza europeo in base al quale nessun singolo stato euro-atlantico o organizzazione internazionale potrebbe rafforzare la propria sicurezza a spese della sicurezza degli altri. Tuttavia la nostra proposta è stata immediatamente respinta con il pretesto che alla Russia non dovrebbe essere consentito porre limiti all’attività della Nato". "Lo scorso dicembre (2021) abbiamo consegnato ai nostri partner occidentali un progetto di trattato tra la Federazione russa e gli Usa sulle garanzie di sicurezza, nonché un progetto di accordo sulle misure per garantire la sicurezza della Federazione russa e degli Stati membri della Nato". Richiesta nuovamente respinta. Questo discorso dimostra che il Presidente Putin, in quanto Capo dello Stato russo che deve dirigere la politica estera del suo paese, non è uno squilibrato, un pazzo in preda a chissà quali convulsioni come lo si vuole dipingere di questi tempi. A molti dei nostri commentatori manca semplicemente la capacità, o la voglia, di ascoltare cosa l’altro ha da dire. Dimostra piuttosto quanto l’Occidente, e gli Stati Uniti in particolare, abbiano molte responsabilità nella situazione che si è venuta a creare. Già a partire dalla presidenza Clinton, a quella di Bush jr, come dimostra l’episodio sopra citato della Rice, fino a tutti i loro successori, è stata evidente la volontà degli Usa di far entrare prima o poi l’Ucraina nella Nato. E i dirigenti ucraini dopo il 2014 non hanno percepito quale grave pericolo correvano assecondando le mire degli Usa. Oggi lo devono amaramente constatare sulla pelle del loro popolo, che è stato costretto a diventare eroico.
Due pesi e due misure
Quello che si concede agli uni, non lo si riconosce agli altri. Ad alcuni si impongono sanzioni, ad altri no. Ai paesi baltici, alla Polonia e agli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia si riconosce la legittimità dei loro timori nei confronti della Russia. Ma non si vuol riconoscere la legittimità dei timori della Russia nei confronti della Nato. Quattro volte nel corso della storia moderna la Russia ha subito invasioni dalle pianure del suo lato occidentale, le ultime due, quella di Napoleone e quella di Hitler. Non sono legittimi i suoi timori per un pericolo che anche oggi viene da ovest? La Russia può costituire una reale minaccia per i paesi che oggi appartengono alla Nato? Oggettivamente no. È in declino demografico, economicamente, in base ai dati disponibili più recenti, è al 12° rango secondo l’Fmi, dietro la Corea del Sud, all’11° secondo la Banca Mondiale, dietro il Canada e al 14° secondo la Cia, dietro la Spagna. Non proprio un gigante. D’altronde le difficoltà militari che incontra attualmente nella guerra contro l’Ucraina, dimostrano abbastanza la relativa debolezza militare della Russia, che però ha 5-6mila testate nucleari. La Russia deve credere al carattere puramente difensivo della Nato, dopo che questa ha aggredito l’Iraq nel 2003 senza un motivo plausibile e senza un mandato internazionale, fondandosi su una ennesima frottola colossale in mondovisione, quindi in totale illegalità rispetto al diritto internazionale? Lo stesso si può dire dell’intervento in Siria e in Libia. Quali sanzioni sono state prese contro gli Stati aggressori? Nessuna, né lieve, né "mai viste". Già, proprio così: mai viste. Gli antirussi sono infastiditi quando si richiamano questi fatti, ma questi dimostrano in modo evidente il principio dei due pesi e delle due misure praticato dall’Occidente. Mi si permetta una semplice constatazione di buon senso. La Cina sta crescendo in potenza demografica, economica, militare e politica. Fra non molti anni sarà verosimilmente il paese più potente del mondo. Il principio del rispetto delle regole del diritto internazionale sarà tanto più importante come garanzia che la Cina non si metta a comportarsi da fuorilegge internazionale. E questo varrà anche per l’Occidente, che ha tutto l’interesse a imporre, anche a sé stesso, il rispetto del diritto internazionale.
Dopo lo scatenamento del conflitto
Dopo lo scatenamento del conflitto, anche la Russia si è messa dalla parte del torto. Mentre prima aveva delle buone ragioni da far valere, però per lo più ignorate o distorte dai dirigenti occidentali e dai mezzi di informazione main stream (mi sia permesso di usare questa espressione, non del tutto campata in aria), dopo, le cose sono cambiate. Aver infranto il principio di non aggressione di un altro stato, è un fatto grave, almeno come quelli precedenti (impuniti!). La guerra è la guerra e i morti e le distruzioni fanno parte delle sue caratteristiche intrinseche e questa non è più distruttrice di altre. A Baghdad, Falluja e Mosul c’erano sicuramente vecchi, donne e bambini, ma lì la guerra era raccontata dagli invasori che avevano i loro giornalisti "embedded" e le vittime erano meno visibili ai nostri occhi, mentre la guerra in Ucraina a noi è raccontata soprattutto dalla parte degli aggrediti, che ci mostrano, giustamente, le immagini dell’enorme sofferenza causata dal conflitto. Sia a causa della vicinanza geografica e culturale, sia a causa dei profughi che stiamo accogliendo, ne restiamo emotivamente più colpiti, a differenza di conflitti più lontani e meno mediatizzati. Occidentali e Russia hanno costretto il popolo ucraino a diventare eroe e lui lo sta dimostrando con una resistenza che non può non suscitare ammirazione. Ma non si può non essere rincresciuti che si sia dovuto ricorrere agli eroi, quando lo si sarebbe potuto evitare.
Il sistema putiniano
Non ho simpatie per molti aspetti del sistema putiniano, sotto il quale non mi piacerebbe vivere. Non mi piace il carattere sempre più autoritario del regime, detesto l’alleanza del Trono e dell’Altare preferendo di gran lunga la separazione dello Stato e della Chiesa e non mi piace neppure il richiamo a dubbi valori morali. Anche omicidi e attentati alla salute personale di oppositori, non chiariti dalla giustizia del paese, proiettano pesanti ombre sul presidente. Non mi piace nemmeno la vicinanza da lui coltivata con l’estrema destra europea. Non mi piacciono le enormi differenze sociali, con un piccolo gruppo di privilegiati che ostentano sfacciatamente la loro ricchezza in giro per il mondo (e anche in casa nostra). Ma anche qui forse è utile un piccolo richiamo sul percorso di Putin. È nel decennio di Eltsin, quello che mostrava alle telecamere grandi abbracci e fragorose risate col Presidente Clinton, che sono spuntati gli oligarchi, in genere appartenenti all’ultima generazione di dirigenti dell’Unione Sovietica, saltati a piedi pari nel regime capitalista (leggi scritte per la Russia a Washington!) e che hanno depredato tutto quello che c’era da spolpare dell’economia sovietica. Caso emblematico di questa classe di predoni, il signor Khodorkovski, ultimo dirigente del Komsomol, ossia dell’Unione della Gioventù Comunista Leninista dell’Urss, che, buttata nella spazzatura l’ideologia comunista, si è rapidamente impossessato per quattro soldi di un’importante società petrolifera e in pochi anni ha accumulato una fortuna valutata a 10 miliardi di dollari. Quello fu un periodo disgraziato per gran parte del popolo russo, caduto in un’estrema povertà avendo perso tutte le garanzie che il sistema sovietico assicurava ai cittadini e pure con la perdita totale di quei minimi valori civici che il sistema prima inculcava grazie all’educazione del popolo. Per la Russia fu un periodo di grandi umiliazioni sul piano internazionale. Putin, in questo quadro di estremo degrado, ha riportato un po’ di fierezza alla nazione (una colpa?), ha messo parzialmente in riga gli oligarchi senza eliminarli, ha rimesso un po’ di ordine nell’economia del paese, favorendo lo sviluppo di una classe media, quella che incontravamo come turisti in giro per il mondo. È questo che spiega il periodo di notevole popolarità di Putin presso il popolo russo. Poi la situazione è andata degradandosi e il regime è diventato viepiù illiberale. I probabili brogli durante le elezioni e il progressivo restringimento della libera informazione rendono difficile valutare di quanto consenso reale egli goda tuttora.
Uno sguardo alla geopolitica d’avvenire
L’Europa e la Russia sono state collocate vicine dalla geografia e dalla storia. È loro interesse trovare terreni di intesa e non di conflitto permanente. Spero che la situazione attuale sia solo una parentesi che si possa chiudere e non l’inizio di una separazione duratura, che non è né nell’interesse della Russia, né dell’Europa. La garanzia degli Stati Uniti ci serve nella guerra, non per costruire la pace. Sono gli Stati Uniti, che sulla base di considerazioni legate a teorie geopolitiche di inizio Novecento, temono una relazione stretta tra Europa e Russia e fanno il possibile perché questo non avvenga, come ho cercato di spiegare con questo articolo. Qualcuno non condividerà questa visione, soprattutto in questo momento ed è sicuramente legittimo pensarla diversamente. Tuttavia, durante l’era sovietica si erano trovate forme di coesistenza e di collaborazione, al di là dei diversi sistemi ideologici e istituzionali. In un quadro internazionale concordato, per esempio nell’ambito dell’Osce, che garantisca la sicurezza a tutti gli Stati europei e alla Russia, dovrebbe essere possibile una rinnovata forma di coesistenza favorevole a tutti e sicuramente auspicata da gran parte degli Europei. Sperando che nessun popolo abbia più bisogno di eroi (di guerra).