Tra pochi giorni, il 13 febbraio, i cittadini svizzeri avranno la possibilità di abolire la tassa di emissione, una delle più anacronistiche tasse ancora prelevate a livello nazionale. Stiamo parlando di 20 mio. di franchi, una cifra che può sembrare importante, ma che in realtà rappresenta solo lo 0,35% delle entrate della Confederazione. Tuttavia, la posta in palio e la decisione popolare vanno ben oltre questi numeri. Gli ultimi due anni ci hanno mostrato in tutta la loro evidenza alcuni elementi: il nostro benessere dipende dalla possibilità delle imprese di investire, di avere certezze, di riuscire a trovare soluzioni, di aver a disposizione la manodopera necessaria e di trovare soluzioni innovative. Anche se durante la crisi legata al Covid la Svizzera è fortunatamente intervenuta in modo meno incisivo rispetto agli altri Paesi, non per questo le restrizioni alla libertà economica hanno risparmiato le nostre aziende, e soprattutto le Pmi, che hanno pagato un prezzo molto elevato.
Sebbene generi entrate modeste per lo Stato, la stessa cosa vale anche per la tassa di emissione che il Consiglio federale e il Parlamento propongono di abolire. Anzi: dal momento che essa colpisce le imprese proprio quando queste – durante o dopo una crisi – vogliono (ri)costituire il proprio capitale, le conseguenze sono ancora più pesanti. Non sorprende quindi che proprio nei momenti di congiuntura problematica come quello che stiamo attraversando, il gettito dell’imposta raggiunge i suoi livelli più alti. Tassando le imprese nel momento di difficoltà, tale intervento aggrava la crisi, ritarda e complica la ripresa economica e causa danni economici a lungo termine. Questo è particolarmente il caso oggi: le imprese, martoriate da lockdown, chiusure e limitazioni, si trovano pure confrontate con questo balzello anti-ripresa. Davvero qualcuno può pensare che questa sia una misura sensata e da mantenere?
Vi è un altro male indotto da questa scellerata tassa del tutto superata e non supportata da ragioni valide per mantenerla. Colpendo gli aumenti di capitale proprio ma non quelli del capitale di terzi, essa incentiva più che inopportunamente le aziende a indebitarsi (sui finanziamenti bancari, infatti, non grava alcuna tassa). Secondo alcune cifre pubblicate recentemente, nel 2016 il 62% di tutte le Pmi era ancora interamente finanziato dai fondi propri, mentre nel frattempo questo valore è diventato soltanto del 37 per cento.
Ridurre l’appuntamento alle urne a pochi milioni di franchi sarebbe superficiale. Come cittadine e cittadini svizzeri, che hanno sempre ammirato la capacità di resilienza delle nostre imprese, dobbiamo chiederci se mantenere questa tassa sia nell’interesse dei posti di lavoro e della nostra piazza economica. Se vogliamo avere cura del nostro patrimonio aziendale, da cui dipende il nostro benessere, votiamo dunque Sì all’abolizione della legge sulla tassa di bollo il prossimo 13 febbraio.