La discussione sulla politica dei media in genere interessa e appassiona poco il grande pubblico, che la vive come un dibattito tra addetti ai lavori. Poi però tutti sappiamo e ci rendiamo conto del peso, del valore, dell’influenza dei media nella nostra vita quotidiana. Nel febbraio dell’anno prossimo si voterà sul referendum che vuole tarpare le ali ai media privati, bocciando il pacchetto di aiuti approvato in parlamento. Si tratta di 70 milioni di sostegno indiretto (sussidio per le tariffe postali di distribuzione) e di 30 milioni di aiuto diretto ai media online a pagamento. La destra è subito scattata e ha raccolto le firme per andare al voto. L’intento è chiaro: nessun aiuto dello stato ai privati, lasciamo che agisca il mercato, un mantra che si sente ad ogni piè sospinto. La volata verso il voto è lunga, ma è già stata lanciata.
Per una regione minoritaria gli argomenti a favore del sussidio diretto ai media sono evidenti: il bacino di abbonamenti è ristretto e fare informazione di qualità costa. È impossibile vivere di mercato locale e volontariato, a maggior ragione in un cantone trilingue come i Grigioni o in uno dal mercato ristretto come il Ticino. I piccoli portali locali riescono a raggiungere in modo capillare le regioni periferiche o chi ha lasciato le valli per lavoro e vuole mantenere un legame con il proprio paese. C’è dunque una funzione sociale oltre che mediatica in queste esperienze. Senza dimenticare che un portale online di dimensioni locali o regionali, sia esso autonomo o figlio di un giornale, è una vetrina importante per le aziende, le associazioni, il mondo sportivo del luogo. Un’opera di radicamento nel territorio che i media nazionali non compiono perché non ne traggono beneficio.
Tutto sembrerebbe semplice e le tesi del mercato che si autoregola facilmente contestabili con gli argomenti della specificità svizzera e della necessità di far vivere e sopravvivere ogni regione e lingua del paese.
Le cose però sono un po’ più complicate, perché da un lato la discussione rischia di porsi su un piano scivoloso, quello dell’ideologia pura, dall’altro la doppia anima del progetto (sostegno indiretto ai media tradizionali, sostegno diretto a quelli online) apre il campo a più avversari. È il rischio di ogni costruzione di compromesso, come quello raggiunto da governo e parlamento con questa legge.
La posizione ideologica secondo la quale lo stato non deve immischiarsi in affari che riguardano i privati, è un cavallo di battaglia classico dell’Udc, che però nello stesso tempo accusa le amministrazioni rosso-verdi delle città di sfruttare la campagna. Se la legge sul sostegno ai media venisse bocciata, sarebbe un passo ulteriore verso un dominio delle aziende mediatiche urbane a detrimento delle regioni periferiche.
Il pacchetto deciso dal parlamento contempla anche l’aiuto attraverso l’aumento del sussidio alle tariffe postali per la distribuzione di giornali e riviste: sono 70 milioni che andrebbero nelle casse di media tradizionali, dunque – sostengono gli avversari della legge – non in chiave innovativa e soprattutto anche a beneficio dei gruppi editoriali che stanno concentrando testate e forze a detrimento delle regioni di periferia. Il fenomeno è in atto da tempo, lo sappiamo e, se mancheranno questi contributi, tagli nelle redazioni regionali, riduzione di foliazione, sparizione di posti di corrispondente si faranno ancora più marcati. Ancora una volta, chi combatte questa misura per non favorire i grandi gruppi mediatici svizzeri, si tira due volte la zappa sui piedi: un primo colpo con la riduzione dell’impegno per le regioni periferiche, un secondo colpo perché la crisi del settore dei media nazionali favorisce soltanto i giganti internazionali e globali, che drenano già ampiamente il mercato pubblicitario, oltre a diffondere attraverso i social media informazione di dubbia qualità, anche se di grande attrazione.
La volata è lunga e gli avversari dell’aiuto ai media privati l’hanno già lanciata. Si spera che valga la regola del ciclismo, secondo la quale partire troppo da lontano non è mai una buona soluzione, come insegna “l’effetto-Bitossi”, il corridore italiano che ai Mondiali di Gap del 1972 fu beffato da Marino Basso dopo una lunghissima fuga solitaria.