L’articolo di Serse Forni (laRegione del 12 ottobre) merita un elogio per la chiarezza e la correttezza con la quale sono esposti i problemi.
Molto opportunamente, come ricorda Forni, occorre sottolineare come le compagnie telefoniche perseguano il compito, assegnato loro dalla Confederazione, di servire la massima parte del territorio abitato con la telefonia cellulare (spesso anche le capanne alpine) con un livello di qualità definito e in Svizzera assai elevato.
La Confederazione attribuisce molta importanza a qualità ed estensione del servizio, anche in considerazione dell’importanza che hanno per le attività economiche, per i servizi pubblici e le organizzazioni di soccorso.
Di seguito voglio esprimere alcune opinioni sulla parte in cui l’articolista riassume le considerazioni contenute in una decisione del Tribunale federale, che ritengo opportuno riportare integralmente qui di seguito (il carattere in grassetto è mio): “ … il Tribunale federale ha riconosciuto che, per vaste fasce della popolazione, gli impianti per la telefonia mobile possono comportare un disagio psicologico suscettibile di minacciare e compromettere la qualità della vita nelle abitazioni; per lo stesso motivo, la presenza delle antenne può rendere le proprietà nei quartieri toccati meno attrattive sul mercato immobiliare (compravendita) e dell’alloggio (locazione), diminuendone il valore. Queste ripercussioni sono state qualificate dal Tribunale federale come immissioni ideali degli impianti di telefonia mobile, immissioni che a giudizio del Tf possono legittimamente essere contrastate da Cantoni e Comuni mediante gli strumenti della pianificazione territoriale”.
Premetto che le decisioni del Tf le rispetto, ma suscitano in me domande preoccupate e preoccupanti.
Che dire del “disagio psicologico” come criterio per limitare il diritto altrui? In prima fila metto il diritto degli utenti, indipendentemente dall’uso che ne fanno. Per mezzo delle telecomunicazioni, come ho ricordato sopra, oltre a chi chiacchiera per il piacere di chiacchierare (sacrosanto diritto anche quello), c’è chi lavora, chi serve altri, chi soccorre e sempre nel rispetto del diritto federale delle telecomunicazioni.
Proviamo ad applicare gli stessi criteri (disagio psicologico, diminuzione di valore, immissioni ideali) ad altri settori dove non mancano le controversie.
Per esempio, nell’ambito delle costruzioni è frequente il caso di procedure legali perché un nuovo progetto riduce la vista, nasconde temporaneamente il sole; oppure un posto di gioco per bambini che disturba la quiete, produce nuovo traffico: tutte fonti di “disagio psicologico”. Usiamo questo criterio per limitare i diritti garantiti da piani regolatori e regolamenti edilizi?
Prendiamo in considerazione un altro esempio. Parecchi anni or sono, in una regione del Nord-est della Svizzera, è sorta una discussione molto delicata: in un quartiere si sono insediate alcune famiglie straniere; dopo qualche tempo ne sono giunte altre dello stesso gruppo etnico; alcuni residenti svizzeri hanno deciso di cambiare quartiere (per disagio psicologico?) liberando nuovi appartamenti, che hanno favorito l’allargamento della comunità etnica. È nato un dibattito più che delicato sulla opportunità/necessità di usare la pianificazione territoriale per arginare o impedire simili sviluppi (misure del genere esistettero in Sudafrica, e negli Stati Uniti del Sud… ma vennero, molto più tardi, chiaramente qualificate di razzismo!).
Si noti che nei casi citati nei due paragrafi precedenti è sempre entrato in gioco anche l’argomento della “diminuzione del valore” immobiliare provocato da queste “immissioni ideali”. Anche la perdita di valore può provocare “disagio psicologico”!
Con l’applicazione dei criteri summenzionati, temo che la giurisprudenza federale si sia avventurata sulle sabbie mobili, terreno poco propizio alla sicurezza del diritto, perché non vedo come questi criteri debbano rimanere praticabili soltanto nel caso delle antenne di telefonia e non anche negli altri casi che ho menzionato.