I dibattiti

Dante in un rapporto

7 giugno 2021
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“È doveroso che il Ticino si associ in forma nobile e degna al tributo di ammirazione che i popoli di tutto il mondo esprimono in occasione del sesto centenario della morte de “l’Altissimo Poeta”. Peregrinando per i verbali granconsiliari, mi imbatto in questa frase, in un rapporto della Commissione della Gestione (17 maggio 1921). Con voto unanime si aderisce a un progetto di decreto che accorda 4.000 franchi al Comitato ticinese per il VI Centenario di Dante quale contributo per le spese della commemorazione.

Quattromila franchi allora non erano pochi. Uno sforzo per le addolorate finanze ticinesi che avevano altro cui pensare. Un atto attento in cui l’Altissimo Poeta era ancora “fuggiasco”. Il momento storico non gli dava pace, se ne appropriava e lo avvolgeva in una trana vischiosa con quanto stava sviluppandosi in Italia e già incantava il Ticino d'illustri letterati giornalisti politici imprenditori.

Le lodi contenute nel rapporto per ciò che si sta movendo per commemorare il Poeta sembrano più un atto “esteriore” copiato piuttosto che l’occasione per farlo conoscere e amare nelle scuole. Lodi perché si è “pensato a porre una copia del busto veliano di Dante nell’atrio del patrio liceo”, lodi per “l’iniziativa di far distribuire delle stampe rappresentanti Dante Alighieri a tutti gli allievi delle scuole elementari superiori e secondarie del Cantone”.

Poi, sembra che ci si ponga la domanda giustificativa: perché Dante? E si risponde: perché deve ricordarci “in forma solenne e austera il compito che abbiamo di mantenere alta la dignità di nostra stirpe nel seno della Confederazione e di conservare viva e il più possibilmente pura nella nostra terra la lingua che Dante, con il suo Poema, elevò a insuperabile gradi di bellezza e tramandò, segno incancellabile di nobiltà e retaggio di gloria, nei secoli dei secoli”. Stirpe (minoranza)-lingua-italianità- gloria. Dante adjuvante.

Qualcosa di buono e di giusto. Ma, come avvenne, non privo di sviamenti tutt’altro che puri e degni. Duce trionfante, Dante strumento da “usare”. Il fascismo in quel momento elevava il poeta fiorentino a massimo simbolo dell’identità italiana, sotto il profilo nazionalistico e razziale, in un crescendo proprio iniziato in quei mesi del 1921 con la marcia su Ravenna degli squadristi guidati da Italo Balbo e Dino Grandi (nel 1945 con la Repubblica di Salò  si voleva ancora dissotterrare le ossa di Dante per farne il nume tutelare delle camicie nere). Tutt’altra cosa, che non mancò di affascinare molti ticinesi.

Oggi, in un ipotetico rapporto granconsiliare vorremmo fosse presente l impegno per un Dante non da effigie da distribuire nelle scuole, ma da leggere, studiare, interpretare, rendere accessibile a tutti. Anche “se alla prima lettura non ti dà che un po’ di affanno e sana spossatezza, in quelle successive cerca di munirti di un paio d'indistruttibili scarponi svizzeri ben chiodati” (scriveva un altro poeta, Mandelstam).

Oggi, si potrebbe anche aggiungere: e che sia un sano anticorpo contro il piattume espressivo della nuova dittatura dei cosiddetti network o parole-rete!