I dibattiti

Passaporto vaccinale, tra libertà e responsabilità

Un contributo di Natalia Ferrara al dibattito lanciato nei giorni scorsi dal consigliere di Stato Manuele Bertoli

Il consigliere di Stato Bertoli, dalle colonne di questo quotidiano, ha lanciato il dibattito sull’opportunità di un passaporto vaccinale. Ha poi precisato la sua posizione all’ultima puntata di 60 Minuti, sostenendo che, prima o dopo, i privati cercheranno di percorrere una simile strada per poter riaprire le proprie attività (grandi eventi, stadi, ecc.) ed è dunque un bene che ci pensi anche il pubblico e che, in generale, si rifletta sul tema. Sono sostanzialmente d’accordo: è iniziato (e sottolineo, iniziato) un dibattito sul rapporto tra libertà individuale e benessere collettivo, tra l’autodeterminazione e limitazioni su ampia scala, tra scelte personali e conseguenze per gli altri. Insomma, l’attuale situazione ci induce a ripensare il tema (antico) del rapporto tra libertà e responsabilità. È importante confrontarci senza timori sull’accesso al vaccino, sull’opportunità di un passaporto vaccinale, almeno per alcune categorie e, più in generale, su come la libertà appartenga al singolo ma non concerna solo lui. Se ognuno è libero di non farsi vaccinare nessuno è libero di far ammalare gli altri o causare danni alla collettività.

Il dibattito continuerà, da parte mia ho già fornito qualche spunto nella citata trasmissione, dove un altro servizio – apparentemente che nulla c’entra – pure ci fornisce occasione di riflessione. La possibile privatizzazione di Postfinance ci aiuta a capire e a ragionare su quanto la politica sia (o non sia) lungimirante. Su quanto le decisioni prese oggi – soprattutto in relazione all’interesse pubblico – abbiano un influsso sul domani.

Non ci sono ricette semplici, ma esperienze su cui meditare. In Svizzera avevamo una delle più importanti realtà di vaccini del mondo in prima linea per contenere moltissime malattie, fra cui il colera, il tifo, l’influenza e anche la SARS; 100 anni di storia aziendale elvetica spazzati via passando prima in mani olandesi e poi statunitensi. Berna Biotech da 15 anni non c’è più e la pandemia ci ha ricordato che cosa significa dipendere dall’estero: per il personale sanitario, per mascherine e disinfettanti e, ben più grave, per i vaccini. La Confederazione ha già stanziato qualcosa come CHF 400 mio per l’approvvigionamento del vaccino contro il covid. Certo, non sappiamo se Berna Biotech l’avrebbe sviluppato, sappiamo però che privandoci di aziende leader nella ricerca e nella commercializzazione di vaccini, dobbiamo necessariamente guardare fuori dai nostri confini. E solo a titolo di confronto, senza pretesa di scientificità, è un fatto che AstraZeneca, azienda britannica, ha sviluppato un proprio vaccino e che l’Inghilterra abbia già vaccinato 6 milioni di persone, e fino a 500'000 in un solo giorno (una volta e mezzo il Canton Ticino).

Compito della politica non è solo affrontare la situazione contingente. Governare, come si dice, è prevedere. Per Berna Biotech è tardi, per Postfinance siamo ancora in tempo per una discussione franca e un’analisi previdente.